CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. II 20.2.23 n. 5258 – Sulla ripartizione provvisoria di spese in assenza di tabella millesimale, sulla nullità della ripartizione con criteri “capitari” e sulla nullità della delibera dell’Assemblea quale fatto ostativo al potere-dovere dell’Amministratore di darne esecuzione

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La pronuncia si segnala anzitutto per i principi affermati sulla possibilità per l’Assemblea, nel Condominio in cui manchi la tabella millesimale, di deliberare una ripartizione provvisoria delle spese, e sulla nullità della ripartizione (al di fuori della ipotesi di una espressa provvisorietà) secondo criteri definiti “capitari” (ossia, praticamente, in parti uguali, a prescindere dalla proporzionalità prevista dagli artt. 1123 e ss.).
Ma si segnala anche, più in generale, per i principi affermati sulla diversità dell’efficacia delle delibere dell’Assemblea che presentano vizi di validità, a seconda che si configuri nullità o annullabilità (sulla casistica, vedasi qui), e in particolare sulla ipotesi della nullità quale fatto ostativo al potere-dovere dell’Amministratore di darne esecuzione (come noti, la prima delle attibuzioni, ossia dei doveri, è, ex art. 1130 n. 1, eseguire le deliberazioni … ).
Ecco i passaggi salienti:
– sulla possibilità per l’Assemblea, nel Condominio in cui manchi la tabella millesimale, di deliberare una ripartizione provvisoria delle spese: E’ conforme al consolidato orientamento di questa Corte l’affermazione che l’assemblea del condominio, al limitato fine di provvedere alle esigenze di ordinaria gestione delle cose e dei servizi comuni, proprio ove manchino tabelle millesimali applicabili in relazione alla specifica spesa effettuata, può deliberare validamente a maggioranza una ripartizione provvisoria dei contributi tra i condomini, a titolo di acconto salvo conguaglio (da ultimo, Cass. Sez. 2, 19/08/2021, n. 23128).
– sulla nullità della ripartizione (al di fuori della ipotesi di una espressa provvisorietà) secondo criteri definiti “capitari”: è altrettanto pacifico i giurisprudenza che sia nulla la deliberazione adottata a maggioranza la quale stabilisca criteri “capitari” di ripartizione delle spese, in deroga ai parametri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c. (Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233). La nullità di una deliberazione condominiale che provveda a maggioranza ad approvare un criterio capitario di ripartizione delle spese e’, inoltre, assoluta ed insanabile, il che comporta la non soggezione della relativa impugnazione al termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c..
Sulla diversità dell’efficacia delle delibere dell’Assemblea che presentano vizi di validità, a seconda che si configuri nullità o annullabilità, e in particolare sulla ipotesi della nullità della delibera quale fatto ostativo al potere-dovere dell’Amministratore di darne esecuzione: Una deliberazione nulla dell’assemblea condominiale, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può finché (o perché) non impugnata, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, a differenza di ciò che invece concerne le deliberazioni soltanto annullabili. La nullità della deliberazione assembleare costituisce altresì fatto ostativo all’insorgere del potere-dovere dell’amministratore, ex art. 1130, n. 1, c.c., di darne attuazione, sempre a differenza delle ipotesi di mera annullabilità (Cass. n. 23076 del 2018, non massimata). Ne’ l’ordinamento conosce per le deliberazioni condominiali nulle un meccanismo sanante, sul modello di quelli previsti per il testamento (art. 590 c.c.) o per la donazione (art. 799 c.c.), ove ad esse sia data volontaria esecuzione.

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Civile Ord. Sez. 2 Num. 5258 Anno 2023
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: SCARPA ANTONIO
Data pubblicazione: 20/02/2023

(omissis)

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C* ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 22-2022 del Tribunale di Latina, pubblicata il 5 gennaio 2022.
Resiste con controricorso il Condominio *.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex D.Lgs. n. 149 del 2022, art. 35. Le parti hanno depositato memorie.
C* aveva impugnato ai sensi dell’art. 1137 c.c. la deliberazione dell’assemblea del Condominio * approvata l’11 aprile 2015, con la quale era stata decisa la ripartizione delle spese per la dismissione del vecchio depuratore e il conseguente allaccio alla condotta fognaria “in base ad unità abitativa con riserva di conguaglio non appena saranno disponibili le tabelle millesimali”. L’adito Giudice di Pace con sentenza del 13 novembre 2016 aveva rigettato l’impugnazione. C* aveva appellato la sentenza di primo grado deducendo un’erronea applicazione dell’art. 1123 c.c., non avendo questi considerato l’insussistenza di tabelle millesimali per la ripartizione delle spese in oggetto né il costante utilizzo del diverso criterio di riparto di cui si era dato conto nella precedente delibera assembleare del 28 settembre 2013, con la quale si era deciso di “procedere alla suddivisione della spesa in parti uguali”.
Il Tribunale di Latina ha rigettato l’appello (così in dispositivo), pur dopo aver contraddittoriamente premesso in motivazione che fosse “meritevole di accoglimento l’eccezione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.”. Il Tribunale ha invero affermato che la sentenza del Giudice di pace aveva presupposto la nullità della delibera assembleare del 28 settembre 2013 con la quale si era previsto, a semplice maggioranza, una ripartizione delle spese per l’allaccio alla rete fognaria in misura non proporzionale; stante la nullità di tale delibera, il primo giudice aveva ravvisato la legittimità della delibera dell’11 aprile 2015, in quanto conforme ai criteri di proporzionalità di cui all’art. 1123 c.c. Il giudice di appello ha così evidenziato che tale sviluppo logico-argomentativo della sentenza emessa in primo grado, circa la nullità della delibera del 28 settembre 2013, non era stato specificamente censurato con l’atto di gravame.
In prosieguo, il Tribunale di Latina ha tuttavia aggiunto che “l’impugnazione sarebbe stata infondata anche nel merito, atteso che in assenza dell’adozione all’unanimità dei condomini di una delibera assembleare che ripartisse per singola unità abitativa le spese condominiali, ben avrebbe potuto l’assemblea con la delibera dell’11.04.2015, a maggioranza, revocare le determinazioni assunte con la precedente delibera assembleare, adottando, pur in assenza di tabelle millesimali, un criterio di riparto della spesa conforme al principio di cui all’art. 1123 comma 1 c.c. rinviando per il riparto definitivo della spesa all’adozione di future tabelle”.
Il primo motivo del ricorso di C* denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., evidenziando che nel proprio atto di appello erano state indicate “le ragioni per le quali risulterebbe inapplicabile l’art. 1123 c.c., non esistendo, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Latina, alcuna tabella millesimale utile ai fini del riparto delle spese per l’allaccio alla rete fognaria pubblica”, e risultando, piuttosto, una “prassi consolidata e costante sin dal 2006 tra i condomini di ripartire le relative spese pro-capite”.
Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. nonché degli artt. 1135 e 1136 c.c., e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Si assume che “il principio affermato dal Tribunale di Latina è frutto della omessa valutazione di un fatto decisivo del giudizio e segnatamente del fatto che la delibera del 28.9.2013 fosse stata eseguita prima della successiva delibera del 2015 oggetto della presente impugnazione”. Ed ancora: “l’assemblea in data 28.9.2013 ha deliberato alla unanimità dei presenti di affidare l’esecuzione dei lavori della condotta fognaria ad una ditta appaltatrice e di ripartire le spese relative in parti uguali. La delibera ha certamente avuto esecuzione nella misura in cui è stato sottoscritto un contratto di appalto con la società individuata dall’assemblea, società IRIS, tali lavori sono stati ultimati, e sono stati riscossi i relativi oneri da parte della amministrazione; in ogni caso il fatto e’, come detto, pacifico in quanto non specificamente contestato dalla controparte”.
I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano del tutto infondati.
Il controricorrente eccepisce ancora nella memoria ex art. 386-bis.1 c.p.c. l’inammissibilità del primo motivo con riferimento all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. Può tuttavia sostenersi che siano sufficienti ad individuare il denunciato error in procedendo gli elementi ed i riferimenti al contenuto dell’atto di appello esposti a pagina 10 del ricorso, consentendo essi alla Corte l’esercizio del potere di esame diretto.
E’ piuttosto da considerare in premessa che costituisca un obiter dictum, nell’economia della sentenza impugnata, il passaggio secondo cui era “meritevole di accoglimento l’eccezione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.” Il Tribunale di Latina aveva, invero, apparentemente sostenuto dapprima che la autonoma statuizione adottata dal Giudice di pace, relativa alla nullità della delibera assembleare del 28 settembre 2013, non era stata scalfita da alcuno specifico motivo di appello, sicché, essendo la stessa idonea a giustificare autonomamente il rigetto della impugnazione della delibera approvata l’11 aprile 2015, il gravame sarebbe stato inammissibile. Nonostante tale premessa, il Tribunale di Latina non aveva però inteso decidere in rito l’appello, tant’e’ che ha poi affrontato il merito della controversia con apposite argomentazioni, pervenendo in dispositivo al rigetto dell’impugnazione, il che priva il ricorrente dell’interesse ad impugnare il passaggio motivazionale sulla “inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.” (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 18/12/2017, n. 30354; Cass. Sez. 6 – 2, 11/03/2022, n. 7995; Cass. Sez. Unite, 20/02/2007, n. 3840).
Il secondo motivo di ricorso è non di meno infondato.
Innanzitutto, opera per esso la previsione di cui all’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata per omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che, come nella specie, risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado.
La deliberazione dell’assemblea del Condominio * approvata l’11 aprile 2015 aveva deciso la ripartizione delle spese per la dismissione del vecchio depuratore e il conseguente allaccio alla condotta fognaria “in base ad unità abitativa con riserva di conguaglio non appena saranno disponibili le tabelle millesimali”.
E’ conforme al consolidato orientamento di questa Corte l’affermazione che l’assemblea del condominio, al limitato fine di provvedere alle esigenze di ordinaria gestione delle cose e dei servizi comuni, proprio ove manchino tabelle millesimali applicabili in relazione alla specifica spesa effettuata, può deliberare validamente a maggioranza una ripartizione provvisoria dei contributi tra i condomini, a titolo di acconto salvo conguaglio (da ultimo, Cass. Sez. 2, 19/08/2021, n. 23128).
Quanto, invece, alla precedente delibera assembleare del 28 settembre 2013, con la quale si era deciso di “procedere alla suddivisione della spesa in parti uguali”, è altrettanto pacifico i giurisprudenza che sia nulla la deliberazione adottata a maggioranza la quale stabilisca criteri “capitari” di ripartizione delle spese, in deroga ai parametri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c. (Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233). La nullità di una deliberazione condominiale che provveda a maggioranza ad approvare un criterio capitario di ripartizione delle spese e’, inoltre, assoluta ed insanabile, il che comporta la non soggezione della relativa impugnazione al termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c..
E’ quindi del tutto irrilevante che tale delibera avesse “avuto esecuzione” o che esistesse una “prassi consolidata e costante sin dal 2006 tra i condomini di ripartire le relative spese pro-capite”.
Una deliberazione nulla dell’assemblea condominiale, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può finché (o perché) non impugnata, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, a differenza di ciò che invece concerne le deliberazioni soltanto annullabili. La nullità della deliberazione assembleare costituisce altresì fatto ostativo all’insorgere del potere-dovere dell’amministratore, ex art. 1130, n. 1, c.c., di darne attuazione, sempre a differenza delle ipotesi di mera annullabilità (Cass. n. 23076 del 2018, non massimata). Ne’ l’ordinamento conosce per le deliberazioni condominiali nulle un meccanismo sanante, sul modello di quelli previsti per il testamento (art. 590 c.c.) o per la donazione (art. 799 c.c.), ove ad esse sia data volontaria esecuzione.
Inoltre, l’ormai costante interpretazione di questa Corte (Cass. n. 30305 del 2022, non massimata; Cass. n. 26042 del 2019) avverte che, alla stregua degli artt. 68 disp. att. c.c. e 1138 c.c., l’atto di approvazione o di revisione delle tabelle millesimali deve avere la veste di una deliberazione assembleare e perciò non sono configurabili approvazioni o revisioni per “facta concludentia”. L’art. 68 disp. att. c.c. dispone, del resto, che la tabella millesimale sia “allegata al regolamento di condominio”, e il regolamento è soggetto a forma scritta ad substantiam (Cass. Sez. Unite, 30 dicembre 1999, n. 943). Sarebbe di per sé intrinsecamente equivoco, e non deporrebbe affatto per una volontà tacita o presunta di approvare o variare le tabelle, il comportamento mantenuto dalla maggioranza o pure dalla unanimità dei condomini che, a fronte di reiterate deliberazioni invalide, aduse a ripartire le spese in violazione dei criteri previsti dalla tabella vigente, non abbia provveduto a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 1137 c.c. (si veda già Cass. n. 8863 del 2005).
Il ricorso va perciò rigettato, con condanna del ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2023

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