CONDOMINIO – Art. 1137 c.c. – L’impugnazione delle delibere
LA NORMA:
Art. 1137, Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea. | comma |
Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini. | I |
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. | II |
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria. | III |
L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende nè interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l’esclusione dell’articolo 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile. | IV |
LA GIURISPRUDENZA:
– sindacato nel merito (solo) se eccesso di potere
Cassazione civile sez. II, 23/06/2023 n.18039, dalla motivazione: il sindacato giudiziario in sede di impugnazione delle delibere condominiali non si estende alla valutazione del merito delle soluzioni adottate per la gestione delle cose e dei servizi comuni, né alla convenienza dei correlativi costi da sostenere, bensì si risolve in un controllo di legalità, relativo al se la decisione collegiale sia atto legittimo di esercizio del potere dell’assemblea
Cassazione civile sez. II 13/05/2022 n. 15320, dalla motivazione: in tema di condominio negli edifici, il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può abbracciare anche l’eccesso di potere, purché la causa della deliberazione risulti – sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito – falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all’art. 1137 c.c., non è finalizzato a controllare l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata Delib. in ordine ai costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea (Cass. Sez. 6 – 2, 25/02/2020, n. 5061; Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135). Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti, come nella specie, alla convenienza o alla gravosità della somma che il condominio si obblighi a versare a terzi a titolo di canone per il godimento di beni condotti in locazione; o all’accollo in capo al condominio conduttore delle spese necessarie per il mantenimento della cosa in buono stato locativo, o per l’esecuzione di miglioramenti o addizioni alla stessa, seppur derogando convenzionalmente (come consentito: cfr. Cass. Sez. 3, 20/06/1998, n. 6158) alle disposizioni di cui agli artt. 1576,1592 e 1593 c.c.. … il riferimento contenuto in ricorso all’eccesso di potere assembleare … suppone, in realtà, un grave pregiudizio alla cosa comune, ex art. 1109 c.c., tale da consentire l’invalidazione della decisione approvata dalla maggioranza (cfr. Cass. Sez. 2, 05/11/1990, n. 10611).
Cassazione civile sez. VI 22/04/2022 n. 12932, dalla motivazione: In tema di condominio negli edifici, il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può effettivamente abbracciare anche l’eccesso di potere, purché la causa della deliberazione risulti – sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito – falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all’art. 1137 c.c., non è finalizzato a controllare l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea (Cass. Sez. 6 – 2, 25/02/2020, n. 5061; Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135). Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti, ad esempio, le carenze progettuali, le anomalie o imperfezioni delle prescrizioni dei capitolati, l’inutilità o l’irrazionalità dei lavori approvati, o la difettosità delle opere di manutenzione straordinaria. … E’ comunque incomprensibile il riferimento insistito all’eccesso di potere assembleare, consistente nella carenza di un’adeguata istruttoria necessaria all’appalto dei lavori di manutenzione condominiale. Il vizio dell’eccesso di potere suppone, in realtà, un grave pregiudizio alla cosa comune, ex art. 1109 c.c., n. 1, stimato sulla base di accertamento di fatto rimesso al giudice di merito e tale da consentire l’invalidazione della decisione approvata dalla maggioranza (Cass. Sez. 2, 14/10/2008, n. 25128; Cass. Sez. 2, 05/11/1990, n. 10611).
– sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge
Cassazione civile sez. VI 22/04/2022 n. 12932, dalla motivazione: in tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377 c.c., comma 8, dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 6 – 2, 08/06/2020, n. 10847; Cass. Sez. 6 – 2, 11/08/2017, n. 20071; Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese ad una valutazione di soccombenza virtuale. La cessazione della materia contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell’impugnazione ex art. 1137 c.c., in quanto la sussistenza dell’interesse ad agire deve valutarsi non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche al momento della decisione. Il Tribunale di Milano, con statuizione non impugnata in appello, ha accertato, nell’ambito di apprezzamento di fatto spettante ai giudici del merito, che le deliberazioni assembleari del 18 febbraio 2019 e del 5 marzo 2019 avevano sostituito la delibera impugnata ex art. 1137 c.c., del 12 giugno 2017. Perché possa verificarsi la rinnovazione sanante con effetti retroattivi, alla stregua dell’art. 2377 c.c., comma 8, è necessario che la deliberazione impugnata sia sostituita con altra che abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della prima deliberazione, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità (Cass. Sez. 2, 09/12/1997, n. 12439; Cass. Sez. 2, 30/12/1992, n. 13740; Cass. Sez. 2, 19/04/1988, n. 3069). Se, invece, l’assemblea decida di revocare la precedente deliberazione e di adottarne altra avente una portata organizzativa del tutto nuova, gli effetti di quest’ultima decorrono soltanto da quando sia stata assunta. Ove, dunque, il giudice rilevi la cessazione della materia del contendere in tema di impugnazione di delibera condominiale, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377 c.c., comma 8, (il quale espressamente dispone, peraltro, nel testo successivo al D.Lgs. n. 6 del 2003, che “… il giudice provvede sulle spese di lite, ponendole di norma a carico della società…”), la pronuncia finale sulle spese viene regolata sulla base di una valutazione di soccombenza virtuale, sicché il giudice del merito deve espressamente procedere ad un complessivo ed unitario giudizio circa l’originaria fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, al fine di decidere circa la incidenza della potenziale soccombenza sull’onere delle spese. Tale valutazione di fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, posta a fondamento della condanna della Archedes s.r.l. e di H.E.N. al rimborso di metà delle spese processuali del primo grado e del secondo grado di giudizio, è stata compiuta dalla Corte d’appello di Milano. I ricorrenti avrebbero altrimenti dovuto dolersi nel merito contestando l’esistenza del presupposto per emettere la declaratoria di cessazione della materia del contendere, in ragione del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (Cass. Sez. U, 09/07/1997, n. 6226, Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10478; Cass. Sez. 1, 28/05/2012, n. 8448; Cass. Sez. 6 – L, 13/07/2016, n. 14341). Essendo invece sottratta all’ambito del devoluto in sede di appello, e conseguentemente vieppiù del devoluto in sede legittimità, la statuizione di cessazione della materia del contendere, la quale perciò è coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, va ulteriormente evidenziato come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare, appunto, il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, decidere, cioè, se la domanda avrebbe dovuto essere accolta o rigettata nel caso in cui non fosse intervenuta la cessazione della materia del contendere, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei. In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova, invero, ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale (Cass. Sez. 1, 27/09/2002, n. 14023).