CONDOMINIO – Cassazione civile sez. II, 4.6.24 n.15573 – Sul taglio di alberi condominiali

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La pronuncia merita di essere segnalata perchè, al di là della particolarità del caso concreto (si faceva questione, in un piccolo Condominio, del taglio di due piante che adornavano lo scoperto condominiale, avvenuto ad iniziativa di un singolo condòmino) e della decisione (che ha ravvisato difetto di motivazione nella decisione impugnata), essa contiene nella motivazione un utile riepilogo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità su un tema, quello degli interventi su alberature da ritenersi di proprietà comune, che si pone molto spesso nelle pratica.
Gli Ermellini ricordano infatti che il taglio di alberi condominiali:
non può essere disposto dall’assemblea in ipotesi di accertato pregiudizio estetico e diminuzione della complessiva amenità dei beni comuni;
– è reputato ammissibile se tale da comportare un miglioramento, un uso più comodo o un maggior rendimento del bene comune suddetto (Cass. 23937/2012);
– è reputato ammissibile se giustificato da esigenze di sicurezza e di eliminazione di fattori di pericolo (Cass. 6136/2023).
Vengono altresì citati altri precedenti, specificamente nel senso che la soppressione del verde condominiale collocato in area comune di ridotte dimensioni non integra un’innovazione vietata se funzionale alla creazione di un parcheggio (Cass. 21342/2018 e Cass. 24960/2016; Cass. 15319/2011).

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Civile Ord. Sez. 2 Num. 15573 Anno 2024
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: CRISCUOLO MAURO
Data pubblicazione: 04/06/2024

(omissis)

FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 227/2017, la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ordinato a B*M* la rimozione di impianti idrici e di scarico a servizio dell’appartamento realizzato nei locali al piano terra, posti a distanza inferiore a quella legale, confermando la pronuncia nella parte in cui aveva disposto la divisione di un’area antistante al fabbricato comune ed il rigetto della riconvenzionale di B*V* per il risarcimento del danno cagionato dal taglio di due alberi.
Con riferimento alle questioni ancora discusse in questa sede il giudice di appello distrettuale ha affermato che, pur non essendovi accordo tra le parti, non era affatto preclusa la divisione dell’area ai sensi delle norme sulla comunione o dell’art., 1119 c.c., non essendo compromessa l’utilità ritraibile dal bene comune, sia singolarmente considerato, che nella sua relazione di utilità con le proprietà individuali.
La divisione manteneva, secondo la pronuncia impugnata, la condominialità della porzione pavimentata del cortile, funzionale all’accesso sia alle proprietà individuali poste al piano terra che al giardino. Quest’ultimo, sebbene diviso, non aveva perso la sua destinazione attuale di area verde, mentre l’estensione di ciascuna quota, di circa 60 mq., consentiva il godimento autonomo, agevolato dalla dotazione di accesso sulla porzione di cortile rimasta indivisa e di potenziale accesso autonomo sulla pubblica via con la quale entrambe le porzioni confinavano per un lato, ricavandone ugualmente le singole proprietà l’utilità in termini di aria e luce, apparendo incrementato il valore delle porzioni. La Corte di Cagliari ha infine respinto la domanda di risarcimento del taglio di due alberi, reputandolo legittimo esercizio del diritto al pari uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c. La cassazione della sentenza è chiesta da B*V* con ricorso affidato a tre motivi. B*M* resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1119,1120 c.c., lamentando che la resistente, in violazione della disciplina del condominio, aveva proceduto alla divisione del giardino comune mediante la costruzione di un muro e l’installazione di impianti, oltre al taglio di due alberi, attività che non poteva considerarsi lecita senza vagliare il rapporto di accessorietà esistente tra l’area comune e le porzioni esclusive e senza dar conto delle ragioni della ritenuta legittimità della divisione e del perché non fosse stata compromessa la funzione di tale spazio di dar luce ed aria alle singole proprietà. Il motivo è infondato.
L’art. 1119 c.c., anche nel testo applicabile alla data della domanda (2011), prima delle modifiche introdotte dalla L. 220/2012, non stabiliva un divieto assoluto di divisibilità delle parti comuni di un edificio in condominio, ma la subordinava all’esigenza di non rendere più incomodo l’uso delle parti comuni da parte dei singoli (Cass. 2257/1982).
Poiché l’uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso, cui fa riferimento la norma, andava valutata, oltre che con riferimento all’originaria consistenza e destinazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità, piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini avrebbero ricavato prima e dopo la divisione (Cass. 7667/1995; Cass. 867/2012).
A tali principi si è attenuto il giudice di merito che, con motivazione esente da vizi, ha posto in rilievo che la creazione di spazi esclusivi ricavati dall’area destinata a verde non aveva in alcun modo pregiudicato la pregressa utilizzazione e utilità ritraibili dal bene.
La sentenza ha sottolineato che la porzione comune, sebbene divisa, non aveva perso la sua destinazione ad area verde, mentre l’estensione di ciascuna quota, di circa 60 metri quadri, consentiva il godimento autonomo, agevolato dalla dotazione di accesso sulla porzione di cortile rimasta indivisa e di potenziale accesso autonomo sulla pubblica via con la quale entrambe le porzioni confinavano per un lato, ricavandone ugualmente aria e luce ed apparendo incrementato il valore delle porzioni. La divisione non aveva, poi, eliminato la condominialità della porzione pavimentata del cortile, funzionale all’accesso sia alle proprietà individuali poste al piano terra che al giardino. 2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1120 c.c., censurando la pronuncia per aver ritenuto legittimo il taglio di due alberi esistenti nel cortile comune, sull’assunto che tale attività andava valutata non autonomamente, ma nel quadro della complessiva modificazione della cosa comune, apparendo strumentale alla destinazione del giardino ad area di parcheggio e di alloggiamento degli impianti esclusivi sì da integrare un’innovazione vietata, avendo comportato l’eliminazione di un elemento di pregio e di decoro dello stabile. Il motivo è fondato.
La sentenza ha ritenuto legittimo il taglio di due alberi presenti sull’area comune destinata a verde, reputandolo di per sé legittima espressione del diritto di pari uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., senza verificare la compatibilità con i limiti previsti dalla norma, che consente al singolo di servirsi della cosa comune e di farne un uso più intenso sempre che sia rispettata la destinazione del bene e non siano frapposti impedimenti agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, essendo ammissibili, nei limiti prescritti, anche modificazioni o trasformazioni sostanziali.
Per accertare la legittimità dell’intervento era necessario verificare se il taglio degli alberi avesse costituito attività eccedente dai limiti di godimento concessi al singolo e, in particolare, se, come dedotto in ricorso, avesse compromesso l’aspetto estetico dell’edificio di cui gli alberi costituivano elemento caratterizzante e di pregio. D’altronde tale intervento sui beni condominiali non può essere legittimamente disposto neppure dall’assemblea in ipotesi di accertato pregiudizio estetico e diminuzione della complessiva amenità dei beni comuni, essendo invece reputato ammissibile se tale da comportare un miglioramento, un uso più comodo o un maggior rendimento del bene comune suddetto (Cass. 23937/2012), o se giustificato da esigenze di sicurezza e di eliminazione di fattori di pericolo (Cass. 6136/2023; cfr., nel senso che la soppressione del verde condominiale collocato in area comune di ridotte dimensioni non integra un’innovazione vietata se funzionale alla creazione di un parcheggio, Cass. 21342/2018 e Cass. 24960/2016; Cass. 15319/2011), dovendo ricordarsi che anche i poteri di godimento che competono al singolo sono subordinati al rispetto dei limiti prescritti dall’art. 1120, comma quarto c.c. in tema di decoro architettonico (Cass. 14598/2021; Cass. 11455/2015).
2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 784 c.c. e 1113 c.c., per aver la Corte di merito respinto l’eccezione di difetto di legittimazione, attiva e passiva, riguardo al possesso della qualità di eredi in capo alle parti del giudizio, pur in mancanza di un titolo di acquisto regolarmente trascritto, nonché l’eccezione di difetto di integrità del contraddittorio a causa dell’omessa chiamata in causa di eventuali creditori.
Il motivo è infondato.
La sentenza ha correttamente dato rilievo al principio di non contestazione e all’incompatibilità delle difese della convenuta con la negazione della situazione di comproprietà, avendo la ricorrente invocato la disciplina del condominio minimo, riconoscendo per implicito la comune appartenenza dell’edificio. Vale in proposito quanto già affermato per la comunione ordinaria, ossia che nei giudizi di divisione la prova della comproprietà dei beni da dividere non è quella rigorosa richiesta in caso di azione di rivendicazione o di accertamento positivo della proprietà, atteso che la divisione, oltre a non operare alcun trasferimento di diritti dall’uno all’altro condividente, è volta a far accertare un diritto comune a tutte le parti in causa e non la proprietà dell’attore con negazione di quella dei convenuti, sicché, non si può escludere a priori la rilevanza della non contestazione e, a fortiori, dell’esplicito o implicito riconoscimento dell’appartenenza dei beni ai coeredi (Cass. n. 40041/2021).
Anche in tal caso la produzione dei certificati relativi alle trascrizioni e iscrizioni sull’immobile da dividere, imposta dall’art. 567 c.p.c. per la vendita del bene pignorato, non costituisce un adempimento previsto a pena di inammissibilità o improcedibilità della domanda, tenuto conto che, in tali giudizi, l’intervento dei creditori e degli aventi causa dei condividenti è consentito ai soli fini dell’opponibilità delle statuizioni adottate (Cass. 6228/2023). Quanto alla violazione dell’art. 102 c.p.c., la censura della ricorrente era formulata in termini puramente ipotetici, senza indicare, come richiesto a pena di inammissibilità dell’eccezione, i nominativi dei litisconsorti pretermessi e i motivi per i quali era necessaria l’integrazione del contraddittorio (Cass. 25810/2013; Cass. 5679/2020; Cass. 17589/2020).
In conclusione, è accolto il secondo motivo di ricorso, con rigetto di ogni altra censura.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte
accoglie il secondo motivo di ricorso, respinge gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione, anche perla pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, del giorno 16 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2024.

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