CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. II 19.08.22 n. 24976 – Sulla possibilità di deliberare la trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari autonomi
La pronuncia in esame tratta il tema della possibilità o meno che una delibera condominiale validamente trasformi l’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari autonomi (invero decidendo un caso particolare, in una situazione supercondominale; ma i principi valgono a fortiori nel condominio in genere); merita segnalazione, anche perchè offre l’occasione di ricordare quanto tuttora prevede la Legge n. 10/1991.
Sulla questione, in sintesi:
– sino alla entrata in vigore Legge n. 10/1991 giurisprudenza di legittimità consolidata affermava senza possibilità di eccezioni che In tema di condominio degli edifici, la delibera di rinuncia non al mero servizio, ma all’impianto centralizzato di riscaldamento, configurando non una semplice modifica bensì una radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale od economica, obiettivamente pregiudizievole pertutte le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, urta contro il limite invalicabile di cui al secondo comma dell’art. 1120 cod. civ., che vieta tutte “le innovazioni… Che rendano… Parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”dissenziente, senza che possa rilevare la Mancanza di assoluta irreversibilità dell’adottata decisione, ne’ la particolare onerosità del mantenimento edadeguamento degli impianti (massima ufficiale di Cassazione Civile sez. II 6.12.86 n. 7256), per cui In tema di condominio degli edifici, la trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in impianti autonomi, richiede il consenso di tutti i condomini, giacché l’abbandono dell’impianto centralizzato, la rinuncia alle precedenti modalità di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di localeidoneo, la necessità di nuove opere e relativi oneri di spesa, non possono essere imposti al condominio dissenziente, ai sensi dell’art. 1120, secondo comma (massima ufficiale di Cassazione Civile sez. II 27.4.91 n. 4652);
– dopo la entrata in vigore Legge n. 10/1991, la giurisprudenza di legittimità ha preso atto che il principio sopra espresso trova deroga qualora operi il suo art. 26, riconoscendo che Con riferimento agli interventi sulle parti comuni dell’edificio condominiale previsti dalla legge n. 10 del 1991 per attuare il risparmio energetico ed incentivare l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia, l’art. 26, comma secondo, di tale legge consente che sia approvata a maggioranza delle quote millesimali la delibera di trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti autonomi attraverso l’uso delle fonti alternative di energia indicate dall’art.1 o l’installazione di impianti unifamiliari a gas, secondo quanto stabilito all’art. 8, lett. g); la delibera è valida, anche se non accompagnatadal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all’art. 28, comma primo – attenendo il progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera – purché l’assemblea preveda anche il tipo di impianto che sarà installato in sostituzione di quello soppresso, non essendo al riguardo sufficiente la sola previsione della installazione ad iniziativa dei condomini degli impianti autonomi, giacché, essendo questa meramente eventuale e non programmata, la delibera si risolverebbe nella soppressione dell’impianto centralizzato senza il consenso unanime dei condomini aventi diritto a fruire di un bene comune. In proposito non trovano applicazione le disposizioni dettate dall’art. 26, commi quinto e sesto, che, nel consentire la deroga alle maggioranze stabilite dagli artt. 1120 e 1136 cod. civ., fanno riferimento alle innovazioni volte ad installare nei nuovi edifici sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore indipendentemente dagli interventi di soppressione e sostituzione dell’impianto centralizzato esistente. (Nella specie, è stata ritenuta illegittima la deliberazione con cui l’assemblea aveva approvato con la maggioranza prevista dall’art.26 comma secondo, cit., la soppressione dell’impianto centralizzato, lasciando liberi i singoli condomini di attivarsi per l’eventuale installazione degli impianti autonomi) (massima ufficiale di Cassazione Civile sez. II 18.8.05 n. 16980), per cui In tema di condominio, è legittima la soppressione dell’impianto centralizzato di riscaldamento deliberata con la maggioranza prevista dall’art. 26 della legge n.10 del 1991, qualora l’assemblea dopo avere espresso la volontà di modificare il relativo impianto senza approvare il progetto accompagnato dalla relazione tecnica prevista dall’art. 28 della citata legge, abbia successivamente proceduto alla relativa fase esecutiva, deliberando la trasformazione del bene comune in impianti autonomi unifamiliari secondo un progetto tecnico che aveva previsto l’installazione di canne fumarie singole e collettive con un risparmio energetico rispetto al consumo necessario per il funzionamento dell’impianto centralizzato (massima ufficiale di Cassazione Civile sez. II 11.5.06 n. 10871).
La Legge n. 10/1991, sul risparmio energetico (precisamente: Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia) è una normativa anteriore alla Legge n. 220/12, di riforma del condominio (che, tra le tante modifiche, ha affiancato alle innovazioni “comuni”, per le quali resta necessaria la maggioranza millesimale dei 2/3 del valore, l’importante categoria delle innovaizoni “agevolate”, per le quali diviene sufficiente la maggioranza millesimale di 1/2 del valore; e tra esse, elencate nel secondo comma dell’art. 1120 c.c. , vi sono anche le opere e gli interventi previsti per il contenimento del consumo energetico degli edifici), ed ha subito a sua volta varie modifiche (anche a seguito della citata riforma, a cui per quanto riguarda il Condominio è stata adeguata; e, soprattutto, dal D.Lgs. n. 192/2005 e dal D.Lgs. n. 48/2020, che l’hanno sostituita, ma solo in parte, in buona sostanza complessivamente integrandola).
Negli anni successivi si è parlato soprattutto delle normative fiscali sui bonus, di cui potremmo dire che, in ambito energetico, fu primigenia, prevedendoli programmaticamente, sino alla apoteosi del famigerato superbonus; ma era e resta fondamentale.
Ebbene, il testo della Legge n. 10/1991, siccome vigente dal 2013 (all’esito degli adeguamenti conseguiti alla Legge n. 220/2012), e tuttora ritenuto applicabile dalla pronuncia della Cassazione in esame, all’Art. 1, Finalità ed ambito di applicazione, all’Art. 8, Contributi in conto capitale a sostegno dell’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia nell’edilizia, e all’Art. 26, Progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e di impianti, così recita:
LEGGE 9 gennaio 1991, n. 10
Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.
Art. 1, Finalità ed ambito di applicazione | |
1. Al fine di migliorare i processi di trasformazione dell’energia, di ridurre i consumi di energia e di migliorare le condizioni di compatibilità ambientale dell’utilizzo dell’energia a parità di servizio reso e di qualità della vita, le norme del presente titolo favoriscono ed incentivano, in accordo con la politica energetica della Comunità economica europea, l’uso razionale dell’energia, il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell’utilizzo di manufatti, l’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia, la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi, una più rapida sostituzione degli impianti in particolare nei settori a più elevata intensità energetica, anche attraverso il coordinamento tra le fasi di ricerca applicata, di sviluppo dimostrativo e di produzione industriale. | I |
2. La politica di uso razionale dell’energia e di uso razionale delle materie prime energetiche definisce un complesso di azioni organiche dirette alla promozione del risparmio energetico, all’uso appropriato delle fonti di energia, anche convenzionali, al miglioramento dei processi tecnologici che utilizzano o trasformano energia, allo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, alla sostituzione delle materie prime energetiche di importazione. | II |
3. Ai fini della presente legge sono considerate fonti rinnovabili di energia: il sole, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organici o di prodotti vegetali. Per i rifiuti organici ed inorganici resta ferma la vigente disciplina ed in particolare la normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, e successive modificazioni ed integrazioni, al decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, e al decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475. | III |
4. L’utilizzazione delle fonti di energia di cui al comma 3 è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità e le opere relative sono equiparate alle opere dichiarate indifferibili e urgenti ai fini dell’applicazione delle leggi sulle opere pubbliche. | IV |
Art. 8, Contributi in conto capitale a sostegno dell’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia nell’edilizia | |
1. Al fine di incentivare la realizzazione di iniziative volte a ridurre il consumo specifico di energia, il miglioramento dell’efficienza energetica, l’utilizzo delle fonti di energia di cui all’articolo 1, nella climatizzazione e nella illuminazione degli ambienti, anche adibiti ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico, sportivo ed agricolo, nell’illuminazione stradale, nonché nella produzione di energia elettrica e di acqua calda sanitaria nelle abitazioni adibite ad uso civile e ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico, sportivo ed agricolo, possono essere concessi contributi in conto capitale nella misura minima del 20 per cento e nella misura massima del 40 per cento della spesa di investimento ammissibile documentata per ciascuno dei seguenti interventi: a) coibentazione negli edifici esistenti che consenta un risparmio di energia non inferiore al 20 per cento ed effettuata secondo le regole tecniche di cui all’allegata tabella A; b) installazione di nuovi generatori di calore ad alto rendimento, che in condizioni di regime presentino un rendimento, misurato con metodo diretto, non inferiore al 90 per cento, sia negli edifici di nuova costruzione sia in quelli esistenti; c) installazione di pompe di calore per riscaldamento ambiente o acqua sanitaria o di impianti per l’utilizzo di fonti rinnovabili di energia che consentano la copertura almeno del 30 per cento del fabbisogno termico dell’impianto in cui è attuato l’intervento nell’ambito delle disposizioni del titolo II; d) installazione di apparecchiature per la produzione combinata di energia elettrica e di calore; e) installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica; per tali interventi il contributo può essere elevato fino all’80 per cento; f) installazione di sistemi di controllo integrati e di contabilizzazione differenziata dei consumi di calore nonché di calore e acqua sanitaria di ogni singola unità immobiliare, di sistemi telematici per il controllo e la conduzione degli impianti di climatizzazione nonché trasformazione di impianti centralizzati o autonomi per conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 1; g) trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria dotati di sistema automatico di regolazione della temperatura, inseriti in edifici composti da più unità immobiliari, con determinazione dei consumi per le singole unità immobiliari, escluse quelle situate nelle aree individuate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell’articolo 6 ove siano presenti reti di teleriscaldamento; h) installazione di sistemi di illuminazione ad alto rendimento anche nelle aree esterne. | I |
2. Nel caso di effettuazione da parte del locatore di immobili urbani di interventi compresi tra quelli di cui al comma 1 si applica l’articolo 23 della legge 27 luglio 1978, n. 392. | II |
Art. 26, Progettazione, messa in opera ed esercizio di edifici e di impianti | |
1. Ai nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all’uso razionale dell’energia, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica e ambientale. Gli interventi di utilizzo delle fonti di energia di cui all’articolo 1 in edifici ed impianti industriali non sono soggetti ad autorizzazione specifica e sono assimilati a tutti gli effetti alla manutenzione straordinaria di cui agli articoli 31 e 48 della legge 5 agosto 1978, n. 457. L’installazione di impianti solari e di pompe di calore da parte di installatori qualificati, destinati unicamente alla produzione di acqua calda e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, è considerata estensione dell’impianto idrico-sanitario già in opera. | I |
2. Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1, individuati attraverso un attestato di prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio. | II |
3. Gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d’uso, e gli impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica. | III |
4. Ai fini di cui al comma 3 e secondo quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 4, sono regolate, con riguardo ai momenti della progettazione, della messa in opera e dell’esercizio, le caratteristiche energetiche degli edifici e degli impianti non di processo ad essi associati, nonché dei componenti degli edifici e degli impianti. | IV |
5. Per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l’assemblea di condominio delibera con le maggioranze previste dal secondo comma dell’articolo 1120 del codice civile. | V |
6. Gli impianti di riscaldamento al servizio di edifici di nuova costruzione, la cui concessione edilizia sia rilasciata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, devono essere progettati e realizzati in modo tale da consentire l’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare. | VI |
7. Negli edifici di proprietà pubblica o adibiti ad uso pubblico è fatto obbligo di soddisfare il fabbisogno energetico degli stessi favorendo il ricorso a fonti rinnovabili di energia salvo impedimenti di natura tecnica od economica. | VII |
8. La progettazione di nuovi edifici pubblici deve prevedere la realizzazione di ogni impianto, opera ed installazione utili alla conservazione, al risparmio e all’uso razionale dell’energia. | VII |
Tornando alla pronuncia, gli Ermellini ricordano che all’esito dell’entrata in vigore della L. n. 10 del 1991, la delibera condominiale di trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai sensi dell’art. 26, comma 2, di tale legge (nella versione vigente ratione temporis), in relazione all’art. 8, lett. g), della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali, è valida.
E precisano che tale validità sussiste anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all’art. 28, comma 1, della stessa legge, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.
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Civile Ord. Sez. 2 Num. 24976 Anno 2022
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: TRAPUZZANO CESARE
Data pubblicazione: 19/08/2022
(omissis)
FATTI DI CAUSA
1.- Con citazione notificata il 23 marzo 2001, la I* S* S.r.l. (poi fusa per incorporazione nella T* S.r.l.) impugnava, dinanzi al Tribunale di Milano, la delibera assembleare del Condominio *, adottata il 31 gennaio 1994, con la quale era stato autorizzato il distacco del detto Condominio dall’impianto centralizzato di riscaldamento e di acqua calda di S* F*, assumendo che la delibera fosse nulla e chiedendo, in conseguenza della declaratoria di invalidità, la condanna del convenuto a porre in essere quanto necessario per il riallaccio al servizio centralizzato.
Deduceva che il 27 gennaio 1997 aveva acquistato un immobile sito nel complesso denominato “Q* * S* F*”, facente parte del Condominio * che a sua volta, insieme ad altri circa sessanta Condomini periferici, faceva parte del Condominio *.
In particolare, il Condominio *, oltre alla villa di proprietà dell’attrice, comprendeva altre venti ville, ed era disciplinato dal regolamento predisposto dall’originario costruttore-venditore.
Tuttavia, nella detta assemblea, con l’unanimità dei voti dei 15 condomini presenti (pari a 749,28 millesimi), si era deciso di procedere al distacco dell’impianto centralizzato a far data dal 30 giugno 1994, con invito ai Condomini di munirsi di impianto autonomo.
Peraltro, l’art. 6 del regolamento del Condominio periferico, all’ultimo comma, non consentiva la rinunzia ai servizi comuni; e lo stesso regolamento del Supercondominio o Condominio centrale, all’art. 25, ribadiva il divieto di distacco.
Inoltre, secondo l’attrice, quanto deliberato non aveva determinato alcun risparmio, in quanto il costo del gas metano era superiore rispetto al combustibile Ecoden usato dai servizi centralizzati, dovendo, in ogni caso, il Condominio periferico corrispondere al Condominio centrale un importo fisso del 30%.
A ciò andava poi aggiunto che la realizzazione di ventuno camini autonomi era idonea a causare un maggiore inquinamento atmosferico, non essendo essi dotati di impianti per la depurazione dei fumi, invece presenti nell’impianto centralizzato.
La delibera era, pertanto, affetta da nullità, essendo in contrasto con le previsioni regolamentari che inibivano ai condomini di rinunciare ai servizi comuni, in assenza di un consenso prestato all’unanimità, nonché per avere sottratto i beni comuni alla loro destinazione, rendendoli inservibili.
Infine, rilevava che il distacco autorizzato era in contrasto con le esigenze di risparmio energetico e avrebbe costituito un danno per l’ambiente e per la salute.
Si costituiva in giudizio il Condominio *, che resisteva alla domanda, evidenziando, in particolare, che l’impianto centralizzato, risalendo ad oltre trenta anni prima, era ormai obsoleto e logoro e necessitava di sempre più frequenti interventi di manutenzione, che risultavano estremamente onerosi, attesa anche la tecnica di realizzazione del detto impianto.
La decisione di distaccarsi era stata confermata in una recente assemblea, nella quale si era evidenziato anche che i costi per assicurare la conservazione del vecchio impianto erano ingenti e del tutto insostenibili.
Ribadiva, quindi, la legittimità della delibera, peraltro impugnata a distanza di oltre sette anni dalla sua adozione e da parte di un soggetto che era divenuto condomino solo dopo tre anni dalla deliberazione medesima.
Denunziava la nullità dell’art. 6 del regolamento del Condominio periferico e della clausola n. 25 del regolamento generale del Condominio centrale, per contrarietà all’art. 1138 c.c., comma 4, e di riflesso all’art. 1122 c.c., ed invocava l’applicabilità alla fattispecie della previsione di cui alla L. n. 10 del 1991.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 812/2006, depositata il 24 gennaio 2006, accoglieva la domanda e dichiarava la nullità della delibera impugnata, condannando il Condominio a porre in essere quanto necessario al riallaccio al servizio termico centralizzato, nel termine di 120 giorni dalla pronuncia. Compensava, poi, per intero, le spese di lite.
2.- Avverso tale sentenza proponeva appello il Condominio *, chiedendone l’integrale riforma, con la resistenza dell’Immobiliare Sant’Angela S.r.l., che – a sua volta – proponeva appello incidentale per ottenere la condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 2074/2011, depositata l’8 luglio 2011, in accoglimento del gravame e in totale riforma della pronuncia impugnata, rigettava le domande di parte attrice.
A tal fine riteneva decisiva l’eccezione di carenza di interesse ad agire in capo alla Immobiliare Sant’Angela, reiterata dall’appellante con i motivi di gravame.
Il Condominio, infatti, aveva ribadito che l’attrice era divenuta condomina solo nel 1997 e che per ben tre anni non aveva obiettato alcunché in ordine al deliberato distacco.
Ad avviso della Corte distrettuale, sebbene l’azione di nullità potesse essere esperita da chiunque vi avesse avuto interesse, in ogni caso l’attore avrebbe dovuto dimostrare un proprio concreto interesse ad agire, con riferimento a quanto previsto dall’art. 100 c.p.c..
Nella fattispecie tale interesse doveva ritenersi carente, in quanto l’attrice era divenuta proprietaria allorché le modifiche deliberate erano già state attuate da anni, accettando l’immobile nello stato di fatto in cui si trovava, dolendosi del distacco a distanza di oltre cinque anni dal suo verificarsi.
Inoltre, dal tenore della missiva del 9 ottobre 2000, inoltrata all’amministrazione condominiale, doveva inferirsi una piena accettazione dell’appellata alla mutata situazione di fatto.
Ne’ poteva individuarsi un interesse ad agire nell’utilità economica connessa al ripristino dello status quo ante e nell’aspirazione alla tutela della salute e dell’ambiente, in quanto il diverso apprezzamento circa l’intrinseca validità delle modifiche apportate all’impianto, maturato nel tempo, anche in ragione di autonome e sopravvenute acquisizioni tecniche, non poteva integrare l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c..
3.- Con ricorso notificato il 21 ottobre 2011, la I* S* S.r.l. impugnava, davanti a questa Corte, la sentenza emessa in sede di gravame, deducendo sei motivi di censura, di cui i primi tre relativi alla rilevata carenza di interesse ad agire.
Quindi, con sentenza 12235/2016, depositata il 14 giugno 2016, la Corte di legittimità accoglieva i primi tre motivi del ricorso e dichiarava inammissibili i restanti motivi; all’esito, cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, anche per la regolamentazione delle spese di lite.
In particolare, la sentenza rilevava, in ordine alla legittimazione dell’attrice a far valere la nullità della delibera impugnata, che la valutazione compiuta dalla Corte territoriale in merito all’affermata carenza di interesse in concreto ad agire appariva connotata da illogicità e incoerenza.
Precisava, poi, quanto agli altri tre motivi, che la sentenza impugnata aveva arrestato la propria decisione al rilievo dell’inammissibilità della domanda attorea per difetto di una delle condizioni dell’azione, senza quindi procedere in alcun modo all’esame nel merito della pretesa azionata, sicché gli ulteriori tre motivi, con i quali sostanzialmente si intendeva sottoporre all’attenzione della Corte le questioni di merito implicate dalla richiesta di nullità, dovevano dichiararsi inammissibili.
4.- Con citazione notificata il 9 settembre 2016, la T* S.r.l. (risultante dalla fusione per incorporazione della I* S* S.r.l.) riassumeva il giudizio, davanti alla Corte d’appello di Milano, chiedendo che fosse respinto l’appello proposto dal Condominio * e che, in accoglimento dello spiegato appello incidentale, in parziale riforma della sentenza di prime cure, detto Condominio fosse condannato alla refusione delle spese del giudizio di primo grado e di tutti i successivi gradi del giudizio nonché alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza d’appello.
Si costituiva nel giudizio di rinvio il Condominio *, il quale contestava la totale infondatezza, in fatto e in diritto, delle deduzioni avversarie e chiedeva che l’appello proposto fosse accolto.
Quindi, la Corte d’appello di Milano, all’esito del giudizio di rinvio, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello spiegato e in parziale riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda di riallaccio al servizio di riscaldamento e di acqua calda centralizzato e confermava, per il resto, la pronuncia impugnata, compensando tra le parti le spese del primo giudizio d’appello, del giudizio di cassazione e del giudizio di rinvio e condannando il Condominio * alla restituzione, in favore di T* S.r.l., delle somme ricevute in esecuzione della prima sentenza d’appello.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava: a) che, secondo il consolidato orientamento della Corte di legittimità, il condomino poteva legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento comune, senza necessità di autorizzazione o approvazione degli altri condomini e, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, era tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si fosse risolto in una diminuzione degli oneri del servizio, di cui continuavano a godere gli altri condomini; b) che la delibera assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, avesse respinto la richiesta di autorizzazione al distacco era nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune; c) che a tale rinuncia non ostava il regolamento contrattuale che avesse vietato tale distacco o, come nella specie, non avesse ammesso la rinuncia ai servizi comuni, e ciò perché il regolamento di condominio, anche se contrattuale, non poteva derogare alle disposizioni richiamate dall’art. 1138 c.c., comma 4, e non poteva menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre era possibile la deroga alle disposizioni dell’art. 1102 c.c., non dichiarato inderogabile, sicché l’inderogabilità non sarebbe stata ravvisabile quanto al distacco delle derivazioni individuali dagli impianti di riscaldamento centralizzato e alla loro trasformazione in impianti autonomi; d) che, infatti, l’ordinamento aveva mostrato di privilegiare, al preminente fine d’interesse generale rappresentato dal risparmio energetico, dette trasformazioni e, nei nuovi edifici, l’esclusione degli impianti centralizzati e la realizzazione dei soli impianti individuali; e) che nella fattispecie non poteva essere escluso che detta finalità fosse perseguita con le caldaie a metano installate dai condomini in luogo dell’impianto centralizzato funzionante a Ecoden, tenuto conto del consumo dei due diversi combustibili a parità di prestazione e del conseguente impatto ambientale, peraltro risultando verificato all’attualità che l’impianto centralizzato funzionava anch’esso a metano; f) che il riallaccio, in accoglimento delle domande della condomina – consequenziali alla dichiarata nullità della delibera per contrasto con il regolamento contrattuale -, avrebbe dovuto essere effettuato rispetto all’impianto attualmente in funzione, imponendo così al Supercondominio, che neppure era parte del giudizio, di subire gli effetti di tale statuizione in una situazione dell’impianto stesso che, come sarebbe stato possibile rilevare dal verbale di assemblea del 18 novembre 2014, non era più quella esistente all’epoca del distacco, mentre già all’epoca della proposizione della domanda erano decorsi circa sette anni dalla modifica della situazione di fatto; g) che, alla stregua della ratio che ispira la preferenza del legislatore per gli impianti autonomi, ai fini della valutazione della convenienza energetica, rilevava non solo l’utilizzo più accorto che, come notorio, ciascuno fa di un proprio distinto impianto e le minori dispersioni termiche determinate da un piccolo impianto, rispetto a quelle proprie di un impianto centralizzato servente di un grande complesso, ma anche il differenziato effetto inquinante dei diversi sistemi di alimentazione; h) che, quanto all’obiezione secondo cui l’inquinamento sarebbe stato ridotto al minimo in conseguenza della recente installazione di nuovi moderni impianti per la depurazione dei fumi, di cui gli impianti singoli non erano dotati, diversamente dall’impianto centralizzato, non era comunque messo in discussione che gli impianti autonomi fossero a norma e, dunque, funzionassero nel rispetto della disciplina di settore; i) che, alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e in ragione dello stato di cose esistenti al momento del distacco, e a maggior ragione al momento della proposizione della domanda e nella situazione attuale, in cui avrebbe dovuto farsi luogo al riallaccio, non poteva meritare tutela “la ratio atipica dell’impedimento al distacco, in quanto espressione di prevaricazione egoistica da parte di un solo condomino e di lesione dei principi costituzionali di solidarietà sociale”; /) che effettivamente si riscontrava un profilo di nullità della delibera avente un oggetto – ossia il distacco degli impianti singoli da quello centralizzato e la creazione di impianti autonomi – che, pur potendo discendere dalla scelta dei singoli partecipanti e pur potendo verificarsi per quanto da essi attuato, non rientrava tra le competenze dell’assemblea, nullità che, pur non essendo stata dedotta dalla parte, era rilevabile d’ufficio; m) che, tuttavia, da tale nullità non discendevano le conseguenze volute da T* – ovvero il riallaccio degli immobili facenti parte del Condominio periferico all’impianto centralizzato e, dunque, l’integrale ripristino dello status quo ante -; n) che l’esito complessivo della lite, la peculiarità delle questioni e della vicenda esaminata in materia, nell’ambito della quale si erano avuti significativi arresti della giurisprudenza di legittimità nel corso del procedimento, giustificavano l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.
5.- Avverso la sentenza adottata all’esito del giudizio di rinvio ha proposto ricorso per cassazione, articolato in otto motivi, la T* S.r.l. Ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a due motivi, l’intimato Condominio n. (OMISSIS). Ha ulteriormente resistito con controricorso al ricorso incidentale la T* S.r.l..
6.- Il Pubblico Ministero ha formulato per iscritto le sue conclusioni, come riportate in epigrafe.
7.- La ricorrente ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- In primo luogo, deve trovare accoglimento l’istanza di rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c., vigente ratione temporis, ai fini del deposito – avvenuto il 20 ottobre 2017 – dell’originarle del ricorso già depositato in copia il 25 settembre 2017, della copia autentica della sentenza impugnata e delle due istanze di trasmissione del fascicolo d’ufficio in originale, vistate dalla Corte territoriale ex art. 369 c.p.c., comma 3, nonché dei quattro fascicoli di parte relativi ai procedimenti svolti nei precedenti gradi del giudizio, poiché la ricorrente ha dato contezza, in via documentale, delle ragioni ostative al deposito di detti documenti nel termine di venti giorni dalla notifica del ricorso introduttivo del giudizio, avvenuta il 5 settembre 2017.
Segnatamente vi è la prova che, pur avendo il difensore della ricorrente tempestivamente consegnato a Poste Italiane in data 12 settembre 2017 tale documentazione, affinché fosse trasmessa al difensore domiciliatario in Roma, il plico non è stato recapitato per tempo, sicché tale difensore domiciliatario, in data 25 settembre 2017, è stato costretto a richiedere l’iscrizione a ruolo della causa, depositando la sola fotocopia del ricorso notificato, con riserva di depositare gli originali e tutti gli altri atti necessari e documenti non appena il plico fosse stato recapitato da Poste Italiane.
E’ stata, infatti, allegata, all’istanza di rimessione in termini, missiva del 28 novembre 2017 di Poste Italiane, che – in ordine alla segnalazione effettuata dal difensore della T* – chiarisce che il pacco consegnato per la spedizione il 12 settembre 2017 è stato recapitato il 19 ottobre 2017, a causa di un’agitazione sindacale degli operatori SDA addetti al recapito, verificatasi nel periodo di riferimento, con la precisazione che tale evento era del tutto imprevedibile e da considerarsi causa di forza maggiore. Si riconosce, inoltre, il rimborso delle spese di spedizione.
2.- Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dei principi generali regolanti gli effetti di una delibera condominiale dichiarata nulla nonché il difetto di motivazione in relazione all’art. 24 Cost., per avere la Corte di merito – dopo avere correttamente, seppure per motivi diversi da quelli dedotti dall’attrice, ritenuto nulla la delibera impugnata, nella parte in cui ha disposto il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento ed acqua calda – omesso di trarne la necessaria e doverosa conseguenza, non condannando il Condominio (OMISSIS) al riallaccio.
In particolare, l’istante obietta che la domanda di accertamento della nullità della delibera costituiva l’antecedente logico e il presupposto giuridico per farne derivare la condanna al riallaccio al servizio centralizzato, che costituiva il motivo concreto che aveva indotto la ricorrente ad agire in giudizio, con l’effetto che nessun interesse o utilità sarebbe disceso dalla sentenza di mero accertamento, ove tale accertamento non fosse stato poi seguito e completato con una declaratoria di condanna.
Soggiunge che una delibera nulla non può produrre alcun effetto per cui, se è inidonea da un punto di vista giuridico, prima che logico, a produrre qualsiasi effetto, doveva essere confermata la preesistente situazione in fatto e in diritto e, quindi, nel caso di specie, doveva essere conseguentemente confermata la condanna al riallaccio, correttamente disposta al termine del processo in primo grado.
Deduce, altresì, che la sentenza risultava viziata anche nella motivazione, in quanto dalla sua lettura sarebbe emerso, immediatamente e direttamente, un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, oltre che una motivazione solo apparente, poiché al riscontro della nullità la Corte distrettuale non aveva fatto conseguire la condanna al riallaccio, senza neppure argomentare sul diniego verso quello che si presentava, anche ictu oculi, come l’effetto inevitabile della dichiarata nullità, dovendo essa necessariamente riverberarsi sull’oggetto della delibera, travolgendolo e privandolo di qualsiasi effetto.
Afferma, infine, che il riferimento a vaghi principi costituzionali di solidarietà sociale era privo di qualsiasi valore giuridico, non essendo nemmeno individuati i principi costituzionali che sarebbero stati violati, in modo da comprendere la ragione dell’esclusione del riallaccio.
3.- Attraverso il secondo motivo, la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di diritti costituzionalmente protetti e segnatamente dell’art. 32 Cost., per avere la Corte distrettuale disatteso il diritto fondamentale alla salute, pur avendo richiamato fumosi principi di rango costituzionale e asseritamente solidaristici, neppure identificati.
Secondo la ricorrente, il Condominio * non avrebbe mai provveduto a dotarsi di apparecchiature antinquinamento, mantenendo una situazione di grave pregiudizio per la salute, mentre, nelle more del giudizio, il Condominio centrale, che già avrebbe dimostrato una forte sensibilità ambientale, sarebbe passato all’alimentazione a metano, mantenendo il dispositivo antinquinamento, sicché sarebbe stato evidente che il mantenimento degli impianti autonomi, con 21 camini, avrebbe determinato lo scarico di gas combusti direttamente nell’atmosfera, provocando un maggiore inquinamento ambientale, che avrebbe nociuto gravemente alla salute.
4.- Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., e dell’art. 1138 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che il regolamento condominiale di origine contrattuale potesse essere validamente modificato con il voto di alcuni soltanto dei condomini, sicché il fatto che tutti i condomini del Condominio periferico si fossero dovuti adeguare all’imposizione di munirsi di un impianto autonomo non avrebbe avuto rilievo ai fini della pretesa validità della delibera impugnata.
Rileva, sul punto, che detta delibera era stata adottata con il voto di soli 15 condomini su 21, rappresentanti 749,28 millesimi, come si evinceva dal verbale dell’assemblea straordinaria, e quindi difettava il consenso unanime dei condomini, con l’effetto che la clausola del regolamento condominiale ostava al distacco, non essendo stata validamente modificata.
5.- Mediante il quarto motivo, la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione delle disposizioni di cui alla L. n. 10 del 1991, per avere la Corte d’appello dichiarato la nullità della delibera impugnata, seppure per motivi diversi da quelli addotti dalla ricorrente, omettendo di considerare che la delibera era invalida per contrasto insanabile con le finalità e le disposizioni della L. n. 10 del 1991, che si occupa proprio di quel risparmio energetico che la sentenza impugnata affermava essere un preminente fine d’interesse generale, attribuendo, invece, prevalenza agli impianti autonomi, con violazione delle disposizioni normative, allora ed ora vigenti e inderogabili.
Evidenzia, in ordine a tale aspetto, che gli incombenti tecnici imposti dalla L. n. 10 del 1991, consisterebbero nell’approvazione di un progetto delle opere da realizzare, corredato dalla relazione tecnica di conformità, che nella fattispecie non era stata inviata neppure in epoca successiva all’inizio dei lavori, né al Condominio centrale né al Comune, in violazione delle prescrizioni di cui alla L. n. 10 del 1991, art. 28.
Aggiunge che tale legge avrebbe consentito l’intervento unitario di trasformazione dell’impianto centralizzato in impianti unifamiliari a gas, ma non certo il distacco unilaterale e incondizionato dall’impianto comune, lasciando persistere quello centralizzato, con aggravamento del consumo energetico per la contemporanea operatività dei due diversi tipi di impianto di riscaldamento autonomo e centralizzato, con l’elusione, inoltre, della subordinazione di tale trasformazione al progetto e alla relazione di conformità in merito al risparmio energetico, posposti irrazionalmente alla fase attuativa della deliberazione assembleare.
6.- Il quinto motivo afferisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, alla violazione e falsa applicazione delle disposizioni regionali e comunitarie in materia di riscaldamento, per avere la Corte distrettuale sancito l’esistenza di un diritto al distacco, in realtà inesistente.
In ordine a tale doglianza, l’istante confuta l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui esisterebbe una preferenza del legislatore per il distacco, in favore della costituzione di impianti autonomi, non potendo tale facoltà essere esercitata con un atto unilaterale e senza alcuna motivazione, poiché chi avesse voluto distaccarsi avrebbe dovuto dare atto delle soluzioni da adottare e scegliere quella più opportuna energeticamente e compatibile con l’ambiente.
7.- Con il sesto motivo, la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., per avere la Corte di merito deciso sulla base di erronee presunzioni e in assenza di prove, in quanto il Condominio periferico n. (OMISSIS), sul quale incombeva il relativo onere, non le avrebbe fornite.
Al riguardo, espone che la supposta e, quindi, presunta convenienza energetica, coincidente con il fine di interesse generale rappresentato da un risparmio energetico, che evidentemente anche se implicitamente nel caso in esame sarebbe stato presente, non sarebbe stata supportata da alcuna prova, così come sarebbe stato privo di alcun riscontro obiettivo il richiamo al fatto che i proprietari di immobili con riscaldamento autonomo sarebbero stati incentivati a tenere sotto controllo i consumi, conclusione, questa, esclusa dagli studi scientifici in materia, atteso che tale disponibilità avrebbe agevolato l’effetto perverso di aggravare, piuttosto che di contenere, i consumi energetici.
8.- Il settimo motivo concerne, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte d’appello negato la condanna al riallaccio, non indicando le ragioni giuridiche della decisione, né le norme di legge e i principi di diritto applicati, attraverso una motivazione solo apparente.
In proposito, la ricorrente deduce che le scarne ragioni addotte a supposto sostegno della propria decisione si sarebbero connotate per la loro reale inconsistenza ed erroneità, per non aver preso in considerazione che il Supercondominio, in più occasioni, avrebbe richiesto al Condominio periferico n. 23 di allacciarsi all’impianto centralizzato e, attesa la pendenza del giudizio, sarebbe rimasto in attesa dell’esito finale dello stesso.
Ad avviso dell’istante, anche l’asserzione secondo cui l’impianto centralizzato sarebbe mutato sarebbe stata erronea, poiché i cambiamenti migliorativi effettuati dal Condominio centrale, non solo non sarebbero stati ostativi al riallaccio, ma al contrario lo avrebbero reso anche più semplice, se non quasi doveroso, avendo tale Condominio centrale provveduto a sostituire le tubazioni usurate ed essendosi adeguato alle nuove normative tecniche e antinquinamento.
9.- Con l’ottavo motivo, la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte territoriale disposto l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio sulla base di una motivazione incongrua.
Sostiene, sul punto, che il precedente giudizio avanti alla Corte di legittimità aveva visto totalmente accolta la domanda della T*, sicché tale compensazione non si sarebbe giustificata, mentre, in relazione alle altre fasi processuali, la sentenza sarebbe stata errata.
10.- Passando ai motivi del ricorso incidentale, è anzitutto destituita di fondamento l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla ricorrente, secondo cui il ricorso incidentale sarebbe inammissibile per difetto di un’apposita procura, limitandosi la procura in calce al controricorso ad autorizzare i difensori incaricati a “resistere” al ricorso principale, ma non a proporre ricorso incidentale.
Infatti, la procura apposta nell’unico atto contenente il controricorso e il ricorso incidentale deve intendersi estesa anche a quest’ultimo, per il quale non ne è richiesta formalmente una autonoma e distinta, ed il suo rilascio, anche non datato, mediante timbro apposto a margine o in calce a quell’atto le conferisce sia il carattere dell’anteriorità che il requisito della specialità, giacché tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura stessa ed il giudizio di legittimità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8798 del 04/05/2016; Sez. L, Sentenza n. 25137 del 13/12/2010).
11.- Tanto precisato, con il primo motivo del ricorso incidentale, il controricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte di merito dichiarato la nullità della delibera del 31 gennaio 1994, senza indicare le ragioni giuridiche della decisione, né le norme di legge e i principi di diritto applicati, sulla scorta di una motivazione solo apparente.
In proposito, il controricorrente afferma che la nullità pronunciata dalla sentenza impugnata, anche in difetto di un’espressa deduzione di parte, non sarebbe stata riconducibile a una causa determinata e avrebbe contenuto una motivazione apparente e obiettivamente non comprensibile.
12.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il controricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte distrettuale disposto la compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio, in modo illogico, contraddittorio e non motivato.
E ciò perché la stessa sentenza impugnata avrebbe dato atto che attualmente anche l’impianto centralizzato funzionava a metano e che la situazione dell’impianto non sarebbe stata più quella esistente all’epoca del distacco, sicché sarebbe stata del tutto ingiustificata la compensazione all’esito della corretta applicazione e interpretazione delle norme in materia di spese legali.
13.- Occorre esaminare, anzitutto, il primo motivo del ricorso incidentale, attesa la sua priorità logica rispetto ai motivi del ricorso principale e al residuo motivo del ricorso incidentale.
Infatti, detto motivo mira a confutare le ragioni poste a fondamento della decisione presupposta di conferma della dichiarazione di nullità della delibera assembleare del 31 gennaio 1994, che ha disposto il distacco di tutte le unità immobiliari del Condominio periferico * dall’impianto centralizzato di riscaldamento e acqua calda, mentre le censure sollevate dalla ricorrente principale aggrediscono la decisione conseguenziale, che ha disatteso la domanda di condanna al riallaccio, quale effetto della declaratoria di nullità della delibera.
Anche le doglianze relative alla regolamentazione delle spese – e precisamente alla contestazione della disposta compensazione -, di cui all’ultimo motivo del ricorso principale e al secondo motivo del ricorso incidentale, dipendono dall’esito della deliberazione sulla ragione di critica attinente all’accertamento della nullità della delibera assembleare, essendo destinate ad essere travolte dall’accoglimento di tale critica pregiudiziale.
14.- Detto motivo è infondato.
Si premette che, secondo quanto emerge dalla ricostruzione fattuale in atti, la vicenda si è radicata nel contesto del quartiere residenziale denominato “Milano S* F*” in Segrate, dove sussistono 60 Condomini periferici composti da più villini – quindi sviluppati in senso orizzontale -, ognuno con un proprio impianto centralizzato, a sua volta allacciato a – e servito da – una centrale termica comune, riconducibile ad un condominio centrale.
Con la delibera del Condominio periferico *, adottata nell’assemblea straordinaria del 31 gennaio 1994, con il voto dei soli condomini presenti (pari a 15 su un totale di 21), rappresentanti 749,28 millesimi, è stato disposto di procedere al distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e acqua calda di S* F*, a partire dal 30 giugno 1994, con invito rivolto a tutti i condomini che ancora non ne disponessero a dotarsi, con la massima sollecitudine, dell’impianto autonomo.
In tale assemblea non era presente la condomina C* L*, che in data 27 gennaio 1997 alienava il villino ad uso d’abitazione, facente parte di tale Condominio periferico, in favore dell’I* S* S.r.l., poi fusa per incorporazione nella T* S.r.l..
Conseguentemente la delibera ha deciso la dismissione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in favore di impianti unifarniliari, ma non ha statuito che si dovessero intraprendere concretamente i lavori di modificazione dell’impianto. In particolare, nulla ha stabilito circa il progetto di realizzazione delle opere previste dalla L. n. 10 del 1991, art. 28, comma 1, (norma successivamente abrogata dal D.Lgs. n. 48 del 2020, art. 17, comma 3), secondo cui il proprietario dell’edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare in comune, in doppia copia, insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi alle opere di cui agli artt. 25 e 26, il progetto delle opere stesse corredate da una relazione tecnica, sottoscritta dal progettista o dai progettisti, che ne attesti la rispondenza alle prescrizioni della presente legge.
Ne’ vi sono altri riferimenti specifici da cui possa desumersi che l’adozione del deliberato fosse finalizzata ad ottemperare alla stessa L. n. 10 del 1991.
14.1.- Segnatamente, la L. n. 10 del 1991, art. 26, comma 2, in base al suo testo originario, vigente all’epoca in cui è stata adottata la delibera impugnata, stabiliva che, per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’art. 1, ivi compresi quelli di cui all’art. 8, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali.
Ai sensi del D.Lgs. n. 311 del 2006, art. 7, comma 1, – che ha introdotto il D.Lgs. n. 192 del 2005, art. 16, comma 1 bis, – la L. n. 10 del 1991, art. 26, comma 2, è stato sostituito dal seguente: “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all’utilizzazione delle fonti dm energia di cui all’art. 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali”.
La L. n. 99 del 2009, art. 27, comma 22, ne ha disposto la modifica, nel senso che, dopo le parole: “maggioranza semplice delle quote millesimali”, sono state aggiunte le seguenti: “rappresentate dagli intervenuti in assemblea”.
Il D.Lgs. n. 220 del 2012, art. 28, comma 1, ha stabilito che le parole “semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea” fossero sostituite dalle seguenti: “degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”.
Infine, il D.L. n. 63 del 2013, art. 18, comma 3, convertito, con modificazioni, in L. n. 90 del 2013, nel modificare il D.Lgs. n. 192 del 2005, art. 16, comma 1 bis, ha previsto che le parole “attestato di certificazione energetica” siano sostituite dalle parole “attestato di prestazione energetica”, per cui allo stato la norma così recita: Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’art. 1, individuati attraverso un attestato di prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.
14.2.- Ora, la sentenza della Corte d’appello ha dichiarato la nullità della delibera impugnata, nella parte in cui ha disposto, a maggioranza dei condomini, rappresentanti un valore pari a 749,28 millesimi, il distacco di tutte le unità immobiliari dall’impianto di riscaldamento e acqua calda centralizzato, confermando, sul punto, la sentenza di primo grado, ma ha disatteso la correlata domanda del condomino ricorrente, volta ad ottenere la condanna del Condominio al riallaccio a tale impianto, nel frattempo dismesso, ripristinando lo status quo ante.
Quanto alla conferma della declaratoria di nullità, la pronuncia impugnata, ha dapprima evocato il contrasto con il regolamento contrattuale e successivamente ha valorizzato la circostanza che un siffatto distacco non rientrerebbe nelle competenze dell’assemblea, pur potendo discendere da una scelta dei singoli partecipanti: sicché sarebbe in facoltà di ciascun condomino provvedere al distacco del proprio impianto da quello centralizzato, non ostando a ciò una clausola impeditivi del regolamento condominiale (nella fattispecie, l’art. 6 del regolamento contrattuale periferico stabilisce il divieto di rinuncia ai servizi comuni, ripreso, sul punto, dall’art. 25 del regolamento centrale), ma la dismissione dall’impianto centralizzato non potrebbe essere imposta dall’assemblea, a maggioranza, per tutti i condomini.
In ordine al rigetto della correlata domanda di restaurazione dello status quo ante, quale conseguenza della dichiarazione di nullità della deliberazione assembleare eseguita, la Corte territoriale ha addotto argomentazioni riconducibili ad una sorta di “eccessiva onerosità” per gli altri condomini, sostenendo che la disposizione coattiva del riallaccio, in favore del condomino dissenziente, pur a fronte della dismissione nelle more dell’impianto centralizzato e della creazione, a cura di tutti i condomini, di impianti autonomi, – per un verso – interesserebbe la posizione di un terzo, non evocato in giudizio, ossia il Condominio centrale presso la cui centrale termica sono allacciati gli impianti centralizzati di ciascun condominio periferico, e – per altro verso – costituirebbe “espressione di prevaricazione egoistica da parte di un singolo condomino e di lesione dei principi costituzionali di solidarietà sociale”.
14.3.- Sotto il primo profilo, prima che entrasse in vigore la L. 9 gennaio 1991, n. 10, art. 26, comma 5, la trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti autonomi richiedeva l’approvazione all’unanimità, giacché l’abbandono dell’impianto centralizzato, la rinuncia alle precedenti modalità di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di locale idoneo, la necessità di nuove opere e relativi oneri di spesa non potevano essere imposte al condomino dissenziente ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4219 del 23/02/2007).
In tale prospettiva, è stato evidenziato che la delibera assembleare non avrebbe potuto imporre ai condomini dissenzienti tale distacco, ma avrebbe potuto limitarsi solo ad autorizzare (o a prendere atto del) il distacco in favore dei condomini che ne avessero fatto istanza, in attuazione di un loro diritto potestativo, in quanto intendessero avvalersi di un impianto autonomo, senza però pregiudicarne il.Funzionamento in favore dei condomini che non avessero inteso esercitare tale facoltà.
Sicché sarebbe stata nulla per impossibilità giuridica dell’oggetto, in quanto lesiva dei diritti attribuiti dalla legge ai condomini sulle parti comuni dell’edificio, la deliberazione approvata a maggioranza che avesse stabilito l’eliminazione o il non uso, in via definitiva, dell’impianto di riscaldamento e acqua calda centralizzato, disponendo la sostituzione dell’impianto centrale con impianti autonomi collocati nelle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, posto che tale deliberato avrebbe determinato l’impedimento all’uso dell’impianto comune in danno dei condomini dissenzienti e avrebbe menomato le facoltà e i poteri inerenti ai loro diritti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11739 del 01/08/2003; Sez. 2, Sentenza n. 1302 del 07/02/1998; Sez. 2, Sentenza n. 1926 del 16/02/1993).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la delibera dell’assemblea dei condomini di eliminare l’impianto di riscaldamento centralizzato, per far luogo ad impianti autonomi, avrebbe richiesto il consenso unanime dei condomini, in quanto avrebbe configurato non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della cosa comune nella sua consistenza materiale e nella sua destinazione: radicale alterazione obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate e in contrasto con il disposto di cui all’art. 1120 c.c., comma 2, – secondo la formulazione vigente ratione temporis -, che vieta le innovazioni, le quali rendano le parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente.
14.4.- All’esito dell’entrata in vigore della L. n. 10 del 1991, la delibera condominiale di trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai sensi dell’art. 26, comma 2, di tale legge (nella versione vigente ratione temporis), in relazione all’art. 8, lett. g), della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali, è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all’art. 28, comma 1, della stessa legge, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.
Le suddette norme, nell’ambito delle operazioni di trasformazione degli impianti di riscaldamento destinate al risparmio di energia, distinguono, infatti, una fase deliberativa “interna” (attinente ai rapporti tra i condomini, disciplinati in deroga al disposto dell’art. 1120 c.c.) da una fase esecutiva “esterna” (relativa ai successivi provvedimenti di competenza della pubblica amministrazione), e solo per quest’ultima impongono gli adempimenti in argomento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 862 del 20/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 4216 del 20/0.2/2009; Sez. 2, Sentenza n. 3515 del 22/02/2005; Sez. 2, Sentenza n. 1166 del 29/01/2002).
Ai fini della validità della delibera condominiale di trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in impianti individuali adottata ai sensi della L. 9 gennaio 1991, n. 10, della, a maggioranza delle quote millesimali e in conformità agli obiettivi di risparmio energetico perseguiti da tale legge – non sono, dunque, necessarie verifiche preventive circa l’assoluta convenienza della trasformazione quanto al risparmio dei consumi di ogni singolo impianto, né si richiede che l’impianto centralizzato da sostituire sia alimentato da fonte diversa dal gas, occorrendo soltanto che siano alimentati a gas quelli autonomi da realizzare (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10860 del 16/05/2014; Sez. 2, Sentenza n. 22276 del 27/09/2013).
14.5.- Il tema relativo alla disposizione assembleare della dismissione generalizzata dall’impianto centralizzato deve essere distinto dal tema inerente al riconoscimento della facoltà individuale di ciascun condomino di provvedere alla disattivazione da un impianto che continua a funzionare per gli altri condomini.
In ordine al primo tema, opera – secondo la L. n. 10 del 1991 – il governo del principio delle maggioranze prescritte per la dismissione dall’impianto centralizzato, il che postula che la collettività dei condomini sia interessata al distacco.
Ma a prescindere da tale volontà collettiva, resta fermo comunque il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall’uso dell’impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, sempre che l’interessato provi che dal distacco deriverà una effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà un pregiudizio del regolare funzionamento dell’impianto centrale stesso: segnatamente che da tale disattivazione non derivi né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7708 del 29/03/2007; Sez. 2, Sentenza n. 15079 del 30/06/2006; Sez. 2, Sentenza n. 5974 del 25/03/2004).
Tale facoltà è espressamente recepita dall’ordinamento, posto che il D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, art. 1, lett. l), prevede la possibilità per il condomino di installare un impianto termico a risparmio energetico, previo distacco dall’impianto centralizzato.
E’ evidente che la deliberazione assembleare del distacco generalizzato dall’impianto centralizzato e la facoltà del singolo condomino di distaccarsi operano su piani diversi: nel primo caso è dismesso l’intero impianto, nel secondo l’impianto resta in funzione, ma singoli condomini decidono di non avvalersene (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28051 del 02/11/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 11970 del 12/05/2017; Sez. 2, Sentenza n. 19893 del 29/09/2011).
In tale ultimo caso non è interessata l’operatività di un servizio comune, che resta attivo, pur dovendosi prendere atto della rinuncia di singoli condomini ad avvalersene.
Da ultimo, l’art. 1118 c.c., come modificato dalla L. n. 220 del 2012, consente al condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato – di riscaldamento o di raffreddamento – condominiale allorché una siffatta condotta non determini notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condomini, e dell’insussistenza di tali pregiudizi quel condomino deve fornire la prova, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l’assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 22285 del 03/11/2016).
In siffatta evenienza, il condomino autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione di quest’ultimo – quali, ad esempio, quelle di sostituzione della caldaia -, perché l’impianto centralizzato è comunque un accessorio di proprietà comune, al quale egli potrà, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare; qualora tuttavia, in seguito ad un intervento di sostituzione della caldaia, il mancato allaccio non sia espressione della volontà unilaterale di rinuncia o distacco, ma una conseguenza dell’impossibilità tecnica di fruire del nuovo impianto, che non consente neppure un futuro collegamento, egli non può essere più considerato titolare di alcun diritto di comproprietà su tale impianto e perciò non deve più partecipare ad alcuna spesa ad esso relativa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18131 del 31/08/2020).
14.5.1.- A questo approdo si coniuga il rilievo secondo cui è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, seppure il suo distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento né aggravio di spesa per gli altri partecipanti.
Secondo l’interpretazione di questa Corte, infatti, la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dall’art. 1118 c.c., comma 4, (secondo l’attuale formulazione), L. n. 10 del 1991, art. 26, comma 5, e D.Lgs. n. 102 del 2014, art. 9, comma 5, (come modificato dal D.Lgs. n. 141 del 2016, art. 5, comma 1, lett. i, punto i), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l’uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe perciò nulla o “non meritevole di tutela” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18131 del 31/08/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 32441 del 11/12/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 28051 del 02/11/2018; Sez. 2, Ordinanza n. 11970 del 12/05/2017; Sez. 6-2, Sentenza n. 22285 del 03/11/2016; Sez. 2, Sentenza n. 24209 del 13/11/2014; Sez. 2, Sentenza n. 19893 del 29/09/2011).
14.6.- Chiariti i principi che regolano la materia, anche alla stregua della successione delle leggi vigenti, nondimeno, la delibera che dispone l’eliminazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato per far luogo ad impianti autonomi nei singoli appartamenti, in tanto può essere adottata a maggioranza, e quindi in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., in quanto sia previsto che avvenga nel rispetto delle previsioni legislative di cui alla L. n. 10 del 1991, ossia a garanzia sull’an e sul quomodo della riduzione del consumo specifico di energia, del miglioramento dell’efficienza energetica, dell’utilizzo di fonti di energia rinnovabili (pur non dovendo curarne previamente l’esecuzione).
Nella specie, invece, non soltanto non è stato previsto quanto richiesto dalla lett. g) dell’art. 8 della legge – che consente la trasformazione degli impianti centralizzati in unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria dotati di sistema automatico di regolazione della temperatura, con determinazione dei consumi per le singole unità immobiliari -, ma in aggiunta ciascun condomino è stato, altresì, autorizzato a provvedere autonomamente ad installare l’impianto ritenuto più opportuno, senza alcun vincolo o indirizzo sui termini di detta conversione.
Sicché, in realtà, non si tratta di una delibera che dispone la trasformazione o sostituzione – dettando il conseguente passaggio allo scopo di assicurare il risparmio energetico e la tutela ambientale dell’impianto centralizzato in impianti autonomi, limitandosi essa, invece, a disporre il mero profilo soppressivo o abdicativo dell’impianto centralizzato e rimettendo ai singoli condomini la facoltà di dotarsi di impianti autonomi, in base alle loro scelte e senza alcuna previa indicazione.
Avrebbe dovuto, invece, prevedersi che fosse il condominio, che ne aveva titolo perché proprietario di tutte le parti comuni dell’intero edificio, compreso l’impianto di riscaldamento centralizzato, a dover eseguire e depositare in Comune il progetto di trasformazione dello stesso, con indicazione di tutte le opere necessarie al contenimento del consumo energetico dell’intero edificio, corredate dalla richiesta relazione tecnica attestante la rispondenza della trasformazione alle prescrizioni di legge, sia pure con modalità semplificate, ove tanto fosse stato previsto dalle autorità locali, sino a restringerne il contenuto ai soli elementi identificativi dell’impianto e del generatore installato (come suggerisce la circolare del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato del 13 dicembre 1993, n. 231/F in Gazzetta Ufficiale n. 297, serie generale, parte prima, del 20 dicembre 1993).
E ciò sebbene a tale previsione nella delibera non dovesse associarsi la previa progettazione, rimessa invece alla successiva fase esecutiva.
E pur vero che per le innovazioni relative all’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l’assemblea dei condomini può, a mente della stessa L. n. 10 del 1991, art. 26, comma 5, (secondo la formulazione vigente ratione temporis), decidere a maggioranza, in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ma, nella specie, non si è trattato di una deliberazione di riparto delle spese per il riscaldamento in base al consumo delle singole unità immobiliari (il che, di per sé, avrebbe indotto ciascun condomino ad un uso razionale e contenuto dell’energia), ma della trasformazione dell’impianto centralizzato in singoli impianti autonomi, costringendo così illegittimamente, perché con deliberazione adottata senza il rispetto delle previsioni normative in tema di risparmio energetico, i dissenzienti a subire le decisioni della maggioranza.
Infatti, la delibera è valida, anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui alla L. n. 10 del 1991, art. 28, comma 1, – attenendo, come detto, il progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera -, purché l’assemblea preveda il tipo di impianto che sarà installato in sostituzione di quello soppresso, non essendo al riguardo sufficiente la sola previsione della installazione ad iniziativa dei condomini degli impianti autonomi, giacché, essendo questa meramente eventuale e non programmata, la delibera si risolverebbe nella soppressione dell’impianto centralizzato senza il consenso unanime dei condomini aventi diritto a fruire di un bene comune.
In altri termini, la delibera che può essere adottata a maggioranza deve avere un contenuto prescrittivo positivo, dovendo guidare il transito, per lo scopo emarginato, dall’impianto centralizzato agli impianti autonomi per tutti i condomini, pur attenendo la predisposizione della relativa progettazione alla fase esecutiva e, dunque, non inficiando la fase deliberativa.
Nella specie, per converso, la delibera ha un mero contenuto dismissivo negativo, essendo attinente alla soppressione dell’impianto centralizzato, senza alcuna garanzia, neanche in chiave programmatoria, del passaggio agli impianti autonomi, cosicché avrebbe richiesto l’unanimità dei consensi, appunto perché si traduce nella mera abdicazione ad un servizio comune e non nella trasformazione – o quantomeno nella predisposizione di tale trasformazione – in sostitutivi impianti autonomi, atti a soddisfare il medesimo bene della vita in forme diverse.
Ne’ a tale fine può assumere rilievo il mero piano dell’essere – ossia l’effettiva conformazione degli impianti autonomi installati dai singoli condomini nelle proprie unità abitative e la loro eventuale corrispondenza ai criteri che governano il passaggio dall’impianto centralizzato ai dispositivi autonomi -, poiché le prescrizioni sui requisiti minimi per la validità della delibera, ai sensi della L. n. 10 del 1991, attengono al piano del dover essere, dettandone le condizioni affinché l’assemblea possa provvedere, in deroga ai principi generali, a maggioranza (secondo la locuzione vigente ratione temporis, a maggioranza delle quote millesimali).
Pertanto, la delibera è nulla – come ritenuto dalla sentenza impugnata -, essendo stata adottata a maggioranza in violazione alla legge, dacché non è stato osservato quanto richiede la normativa di cui alla L. n. 10 del 1991, perché potesse non essere assunta all’unanimità, in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10871 del 11/05/2006; Sez. 2, Sentenza n. 16980 del 18/08/2005; Sez. 2, Sentenza n. 5117 del 26/05/1999).
15.- Quanto al secondo aspetto, interessato dal primo motivo del ricorso principale, invece, la Corte territoriale ha ritenuto che l’eventuale riallaccio avrebbe interessato la posizione di soggetti terzi – ossia del Condominio centrale – ed avrebbe violato un principio di solidarietà sociale, in quanto avrebbe imposto agli altri condomini – che tutti si avvalevano, nel frattempo, di un impianto autonomo – di ricostituire un impianto centralizzato ormai in disuso da più decenni.
15.1.- La censura è fondata.
Infatti, alla declaratoria di nullità segue la piena legittimità della pretesa del condomino al ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato, soppresso dall’assemblea dei condomini con delibera dichiarata nulla.
E ciò perché non può essere considerata l’onerosità per gli altri condomini, nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari, della realizzazione delle opere necessarie a tale ripristino, o l’eventuale possibilità per il condomino di ottenere, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo.
Tanto più che nella fattispecie si dà atto che l’impianto termico che alimenta tutti gli impianti centralizzati dei 60 Condomini periferici è ancora in funzione e che gli altri condomini di detti Condomini periferici usufruiscono ancora dell’impianto centralizzato, che ormai funziona a metano.
In conseguenza non è stata argomentata un’impossibilità assoluta del ripristino.
Ne’ è interessata la posizione del Condominio centrale, atteso che la delibera di distacco del Condominio periferico n. 23 è stata assunta senza alcun coinvolgimento della centrale termica cui sono allacciati gli impianti centralizzati dei 60 Condomini, ma ha avuto una portata delimitata al Condominio che vi ha provveduto.
15.2.- Sicché deve essere cassata la sentenza di merito, che ha ritenuto emulativa la richiesta di ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato illecitamente dismesso.
Non può, infatti, ritenersi integrato l’abuso del diritto da parte dell’attrice, in quanto la decisione impugnata si basa su un inammissibile giudizio di proporzionalità fra l’utilità conseguibile dalla condomina e l’onerosità che ne sarebbe derivata ai condomini (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1209 del 22/01/2016; sui limiti degli atti emulativi Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7562 del 18/03/2019; Sez. 2, Sentenza n. 12688 del 19/05/2017).
Al contempo, l’evocato – ma non sufficientemente argomentato principio di solidarietà sociale (rette di “solidarietà condominiale”), che implica il contemperamento di vari interessi, non si attaglia alla fattispecie, essendo stato richiamato dalla giurisprudenza di legittimità in un ambito del tutto particolare, ossia a tutela della pretesa delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, ove viene in gioco un diritto fondamentale, da parte di costoro, che prescinde dall’effettiva utilizzazione degli edifici interessati e che persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7938 del 28/03/2017; Sez. 6-2, Ordinanza n. 6129 del 09/03/2017; Sez. 2, Sentenza n. 18334 del 25/10/2012).
16.- Per l’effetto, in base a quanto detto in premessa, gli altri motivi del ricorso principale (tutti diretti a contestare il rigetto della domanda di riallaccio) e il residuo motivo del ricorso incidentale sono assorbiti.
17.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale e l’accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del primo motivo del ricorso principale, con l’assorbimento dei rimanenti motivi.
La sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, -, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, nei sensi di cui in motivazione, dichiara assorbiti i rimanenti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2022
Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2024.