BANCA – Fondo patrimoniale: per paralizzare l’azione esecutiva il debitore deve provare l’estraneità ai bisogni della famiglia

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Tribunale di Pordenone, Giudice Dott. Francesco Tonon, ordinanza 12.02.2020

Poiché il vincolo di inespropriabilità si configura quale strumento volto ad impedire la distrazione dei beni del fondo dalla loro destinazione e, quindi, a garantire la funzione stessa dell’istituto del fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo, va ricercato non già nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia.

I “bisogni della famiglia” sono da intendersi non in senso meramente oggettivo ma come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari: quindi s’intendono le esigenze di vita dei suoi componenti, includendo anche le esigenze volte al pieno mantenimento dell’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, e restando escluse soltanto le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi.

In particolare, i debiti inerenti l’attività di lavoro e d’impresa dei coniugi allorquando da tali attività la famiglia tragga i suoi mezzi di sostentamento rientrano tra i bisogni della famiglia per i quali è possibile agire contro il fondo patrimoniale.

Spetta al debitore offrire la prova che il creditore conoscesse l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia, dovendosi presumere fino a prova contraria (praesumptio iuris tantum) l’inerenza dei debiti contratti dai coniugi ai bisogni e alle esigenze di carattere familiare, anche in ragione del disposto normativo ex art. 143, comma terzo, del codice civile in base al quale entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia.

Di conseguenza, per paralizzare l’azione esecutiva promossa dal creditore sui beni conferiti in un fondo patrimoniale il debitore deve allegare e provare l’estraneità ai bisogni della famiglia: se non è fornita la prova contraria alla presunzione di inerenza, l’istanza di sospensione va rigettata, con condanna dell’opponente alla rifusione in favore delle controparti costituite delle spese della fase dell’opposizione esecutiva che si svolge avanti al giudice dell’esecuzione.

Non superano il dato oggettivo della riconducibilità dell’attività svolta al soddisfacimento dei bisogni familiari, quand’anche non esclusiva da parte di uno dei due coniugi, denunce dei redditi del fidejussore di s.r.l. da cui risulta che erano prevalenti i redditi da lavoro autonomo ma i redditi da partecipazione societaria non erano affatto marginali.

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Questi i principi espressi dal Tribunale di Pordenone, Giudice Francesco Tonon, con l’ordinanza del 12 febbraio 2020.

Nel corso di una procedura esecutiva immobiliare, il debitore proponeva opposizione all’esecuzione, chiedendone la sospensione perché i beni aggrediti erano stati conferiti, molto tempo addietro, in fondo patrimoniale; adduceva di rispondere di debiti di una s.r.l. avendo rilasciato fidejussione omnibus, ed allegava denunce dei redditi evidenziando la prevalenza dei redditi da lavoro autonomo, anche quando, prima che la società andasse in insolvenza, percepiva redditi per la partecipazione ad essa.

Il Giudice negava l’inibitoria, e condannava alla rifusione delle spese di soccombenza della fase cautelare, dando termine al debitore per promuovere la fase di merito.

COMMENTO

L’art. 170 c.c. stabilisce che “L’esecuzione sui beni del fondo (patrimoniale) e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

Ne consegue che, anche quando il fondo patrimoniale risulti, in sé e per sé, inattaccabile, perché validamente costituito (con atto pubblico o, se da un terzo, anche per testamento) e opponibile (in quanto annotato, in anagrafe, nell’atto di matrimonio, e in quanto trascritto in c.rr.ii., sui beni immobili), e perché non revocabile (non essendo in frode ai creditori) ovvero, più frequentemente, perché non più revocabile (essendo prescritta l”azione, decorsi i cinque anni), i beni che vi rientrano possono essere nondimeno aggrediti, se il credito per cui si procede corrisponde a debito contratto per scopi inerenti ai bisogni familiari.

Ma cosa s’intende esattamente per bisogni familiari?

Ed, in particolare, facendosi questione di linee di credito concesse a società di capitali, il fideiussore può opporsi all’esecuzione e ottenerne la sospensione, allegando di sostentare la propria famiglia con redditi diversi da quelli della partecipazione societaria che detiene, o deteneva?

La giurisprudenza da tempo ha adottato una linea di rigore, a partire, invero, da pronunciamenti di legittimità in esecuzione esattoriali, per crediti dell’Erario.

Il Tribunale di Pordenone prende le mosse da due assunti, in cui ravvisa la questione giuridica fondamentale e dirimente nelle vertenze di questo tipo:

– il concetto di debito contratto per le esigenze della famiglia comprende il debito derivante dall’attività professionale o d’impresa del coniuge con l’esclusione delle sole ipotesi di insorgenza per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 24/02/2015 n. 3738);

– l’onere della prova grava sul debitore (cfr. Cassazione civile, sezione III, 19/02/2013 n. 4011).

Nell’applicarli alla fattispecie, reputa insufficiente l’aver allegato denunce dei redditi da cui emerge che l’opponente all’esecuzione, fideiussore di una società, aveva sempre percepito redditi prevalenti da lavoro autonomo, quindi indipendenti dalle vicissitudini societarie.

Giova da ultimo evidenziare che il Tribunale di Pordenone nel respingere l’istanza di sospensione ha condannato l’opponente alla rifusione delle spese di soccombenza (come da orientamento della giurisprudenza di legittimità che reputa consolidato: cfr. Cassazione civile, sez. III, 24/10/2011 n. 22033).

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