BANCA – Fidejussioni bancarie su modello uniforme ABI – Va dimostrato che siano frutto di una intesa anticoncorrenziale specifica

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Tribunale Pordenone, sentenza 12.01.2021 n.28

Gli attori opponenti non hanno dimostrato che il negozio che forma il titolo della domanda azionata in via monitoria sia frutto di intesa dominante perdurante alla data di stipulazione dei relativi contratti, conclusi circa 10 anni dopo l’adozione dello schema ABI rispetto al quale è stato adottato il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, non avendo, infatti, allegato né provato la perdurante uniforme applicazione di tale modello da parte degli istituti di credito e, quindi, l’attualità della intesa anticoncorrenziale accertata nel provvedimento amministrativo richiamato, non potendosi desumere la prova di tale fatto dai soli contratti versati in atti.

Benché la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione abbia confermato con la sentenza n. 13846 del 22 maggio 2019 che l’accertamento compiuto dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005 costituisca prova privilegiata circa l’esistenza di intesa anticoncorrenziale avente ad oggetto l’inserimento nei contratti di fideiussione omnibus stipulati in ambito bancario di clausole contrattuali analoghe a quelle inserite nelle fideiussioni titolo della domanda monitoria, manca, in ogni caso, la dimostrazione, nell’ambito del presente giudizio, del fatto che la presenza di clausole di analogo tenore nei contratti costituenti il suddetto titolo sia lo sbocco di quella specifica intesa anticoncorrenziale.

La produzione dei soli contratti contenenti clausole analoghe non consente, difatti, di ritenere provato né che l’intesa anticoncorrenziale accertata dalla Banca d’Italia nel 2005 fosse perdurante al momento della stipulazione delle fideiussioni, né che l’utilizzo di tali clausole sia lo sbocco di quella specifica intesa accertata dalla Banca d’Italia piuttosto che espressione della convenienza dell’utilizzo di clausole di analogo tenore, di per sé non contrario a norme imperative, per la parte predisponente le condizioni generali di contratto.

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Questa è parte del percorso motivazionale del Tribunale di Pordenone con la sentenza n. 28 del 12.01.2021.

In una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, i garanti avevano eccepito la nullità delle rispettive fideiussioni, perché rilasciate sul modello ABI per le omnibus del 2003, oggetto del provvedimento n. 55/05 di Banca d’Italia, che lo censurò ravvisandovi una possibile lesione della concorrenza.

Il Giudice ha rigettato la domanda di nullità poiché non era stato allegato e dimostrato che quelle fideiussioni (stipulate una decina d’anni dopo quel provvedimento) fossero state frutto di una intesa anticoncorrenziale specifica e perdurante al momento della loro stipula.

Invero gli opponenti si sono limitati a produrre il provvedimento 55/05 di Banca d’Italia ed i contratti sottoscritti, senza svolgere alcuna attività.

COMMENTO

Con la pronuncia in esame il Tribunale di Pordenone si è allineato, in punto onere della prova della domanda di nullità delle fidejussioni per violazione della normativa antitrust, alla posizione assunta recentemente anche dal Tribunale di Milano (sentenza 19.11.2020 n.7407, in questa rivista).

Dato atto che il provvedimento n. 55/05 della Banca d’Italia, come ritenuto dalla Corte di Cassazione, costituisce prova privilegiata circa l’esistenza all’epoca di una intesa anticoncorrenziale, non basta però produrlo, assieme ai contratti, limitandosi ad evidenziare in essi la presenza di clausole identiche.

Infatti non può essere presunto, da ciò soltanto, nè la “attualità” di quella intesa anticoncorrenziale nel senso della “perdurante uniforme applicazione di tale modello da parte degli istituti di credito”, nè, in ogni caso, che l’utilizzo delle clausole censurate fosse “sbocco” di essa, “piuttosto che espressione della convenienza dell’utilizzo di clausole di analogo tenore, di per sé non contrario a norme imperative”.

Le ripercussioni sui contratti “a valle” di una intesa anticoncorrenziale “a monte”, nell’ambito della problematica generale in esame, costituiscono questioni ancora aperte, in attesa di un auspicabile intervento da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (e senza trascurare gli imprevedibili esiti della recente rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea).

La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata nel caso particolare dei contratti “a valle” del periodo intercorrente tra l’intesa anticoncorrenziale “a monte” di essi ed il suo accertamento (quindi tra il 2003 e il 2005) ed ha affermato che anche detti possono rientrare nella tutela da riconoscersi (sez. I, 12/12/2017, n. 29810): sempre però sul presupposto, esplicitato, che “costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”, ed usando, quanto a tale nesso di causalità, proprio il termine, immaginifico, di “sbocco”, che meriterebbe una definizione più precisa.

Più spesso accade che sia eccepita la nullità di fidejussioni stipulate in periodi anche di molto posteriori a quelle vicende, come nella fattispecie decisa con la sentenza qui commentata (addirittura una decina d’anni dopo !): ed analogamente (se non a maggior ragione, vorremmo anzi dire) non si può prescindere dal presupposto di cui sopra.
Anche perchè, rileggendo la documentazione di quegli anni, emerge, paradossalmente, che l’ABI nel 2003 propose agli associati un testo di 13 articoli per il rilascio della fidejussione omnibus dopo però che lo aveva concordato, l’anno prima, con le Associazioni dei Consumatori facenti parte di un tavolo di lavoro appositamente creato (Associazione Consumatori Utenti , Associazione Italiana Difesa Consumatori e Ambiente , Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori , Associazione Nazionale Consumatori e Utenti , Cittadinanzattiva, Confederazione Generale dei Consumatori , Lega Consumatori – ACLI, Movimento Consumatori , Movimento Difesa del Cittadino , Unione Nazionale dei Consumatori ).

Il modello, quindi, nasceva da una concertazione proprio con chi rappresentava gli interessi dell’utenza non imprenditoriale nè professionale.

Banca d’Italia avviò un’istruttoria l’8.11.03 e concluse il procedimento il 2.5.05, con il provvedimento n. 55/05, dopo aver dato modo all’ABI di controdedurre ed aver acquisito il parere reso dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato.

A rigore non “accertò” una intesa anticoncorrenziale: nella motivazione ritenne che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”, ossia “risultano lesive della concorrenza”, precisando peraltro che un tanto si ha “nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme” (ipotesi quindi ancora da verificare: lesione sì della concorrenza, ma soltanto potenziale).
Nel dispositivo, stabilì che “l’ABI è tenuta a trasmettere preventivamente alla Banca d’Italia le circolari, emendate dalle disposizioni citate alla precedente lettera a), mediante le quali lo schema contrattuale oggetto d’istruttoria verrà diffuso al sistema bancario” (cosa che l’ABI, incontestatamente, fece, con nota 8.7.05, a cui era allegoto un nuovo testo, senza naturalmente le clausole censurate).

Appare quindi pienamente condivisibile, proprio rileggendo quel provvedimento, che la natura dei contratti a valle quale “sbocco”, o “frutto”, della intesa a monte, ossia quale “realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”, vieppiù in caso di fidejussioni rilasciate molto tempo dopo di esso, debba essere pienamente comprovata, senza far ricorso a presunzioni che si rivelano semplicistiche.

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