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Comunità energetiche, autoconsumo collettivo e Condominio

L’emergenza bollette ha reso ancora più di attualità le prespettive di cui alla c.d. transizione ecologica.

C’è però molta confusione: come già accaduto per il superbonus, la normativa risulta estremamente complicata e il legislatore non si è preoccupato minimamente delle peculiarità del Condominio.

Lo menziona in merito all’autoconsumo collettivo, equiparando il trovarsi nello stesso edificio e il trovarsi nello stesso Condominio, ma non considera che il Condominio, oltre ad essere una comunione speciale su parti di edificio, è anche un ente di gestione di tali beni: con soggettività giuridica e capacità di agire che si esplicano attraverso i suoi organi, ossia l’Assemblea e l’Amministratore, secondo un sistema preordinato di funzioni, attribuzioni e procedure.

Il sistema che conosciamo (essenzialmente: le norme del Codice Civile su comunione e condominio, aggiornate dalla riforma del 2012 di cui è imminente il decennale) si è sempre adattato all’evoluzione dei tempi e delle situazioni: accadrà anche in questa circostanza.

Ma non senza difficoltà ed incertezze, che in particolare i professionisti dovranno superare.

Il presupposto: le fonti energetiche rinnovabili e l’autoconsumo (da consumer a prosumer)

Si suol dire che tra le fonti energetiche si distinguono due grandi gruppi, rispetto ad una scala temporale umana: le fonti in natura destinate a finire, esaurendosi a seguito del consumo, dette fonti non rinnovabili; e le fonti in natura sempre disponibili, reintegrandosi nonostante il consumo, dette fonti rinnovabili.

Sono fonti non rinnovabili quelle di origine fossile, essendo la fossilizzazione un processo che dura migliaia o milioni di anni: sono tali il petrolio, il gas naturale, il carbone.

Sono fonti rinnovabili l’energia solare, l’energia eolica, l’energia geotermica, l’energia idroelettrica, l’energia marina; e sono considerate tali anche le fonti che utilizzano biomasse.

Il discrimine non è nettissimo: nell’energia da biomasse, ad esempio, l’inesauribilità può dipendere dalla proporzione tra lo sfruttamento e la rigenerazione (basti pensare, banalmente, al legname); ed è discutibile, ad esempio, con riguardo all’energia nuclare (dipendendo dalla tecnologia: se si usa l’uranio, è un elemento non rinnovabile; se si usasse l’idrogeno, il discorso sarebbe diverso).

Nella normativa europea, di cui la normativa nazionale è attuazione, la definizione di energia da fonti rinnovabili, o semplicemente energia rinnovabile, è la seguente: energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare (solare termico e fotovoltaico) e geotermica, energia dell’ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas1.

Nell’ambito condominiale si pensa subito agli impianti fotovoltaici, perchè i tetti dei fabbricati, così come i lastrici, costituiscono superfici ideali per ospitare pannelli solari, senza interferire sulla funzione di copertura, e spesso anche senza incidere sensibilmente sull’estetica; ma la tecnologia offre anche altre opportunità, e presumibilmente nei prossimi anni saranno sempre di più.

Giova ricordare che tra le innovazioni agevolate dall’art. 1120 comma secondo codice civile (giusta il quale per la validità della delibera approvata dalla maggioranza degli intervenuti all’assemblea non occorre essa che corrisponda ai due terzi del valore dell’edificio, 666/1000, come avviene per le innovazioni in generale, bastando che essa corrisponda alla metà del valore dell’edificio, 500/1000) vi sono quelle per la produzione di energia mediante l’utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili.

Gli impianti da rinnovabili non vanno confusi con gli impianti di cogenerazione (che è il processo della produzione contemporanea di energia meccanica, solitamente trasformata in energia elettrica, e di energia termica, che anzichè disperdersi nell’atmosfera viene utilizzata per il riscaldamento), che talvolta utilizzano carburanti fossili (si pensi ad esempio alle piccole centrali costituite da un motore, un generatore elettrico che converte l’energia meccanica in elettricità e uno scambiatore di calore che recupera il calore prodotto e disperso durante la produzione di elettricità; l’elettricità diventa il sottoprodotto della produzione di calore, anzichè il calore il sottoprodotto della produzione di elettricità, e consente risparmio, ma il motore non necessariamente è alimentato con energia da fonti rinnovabili).

Importanza fondamentale ha poi il concetto di autoconsumo.

Per la normativa europea, e quindi anche per la normativa nazionale, la definizione di autoconsumatore di energia rinnovabile è la seguente: un cliente finale che, operando in propri siti situati entro confini definiti o, se consentito da uno Stato membro, in altri siti, produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e che può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta purché, per un autoconsumatore di energia rinnovabile diverso dai nuclei familiari, tali attività non costituiscano l’attività commerciale o professionale principale.

Dunque: soggetti (non solo nuclei familiari; purchè tali attività non costituiscano l’attività commerciale o professionale principale) che

producono energia elettrica da fonti rinnovabili

per il proprio consumo

con possibilità di immagazzinarla e venderla.

In termini anglosassoni: il semplice consumer, ossia consumatore, si evolve da soggetto passivo a soggetto attivo nelle diverse fasi del processo produttivo del bene (possedendo ad esempio un impianto di produzione), diventa a sua volta producer, ossia produttore, e quindi, in una parola, che è la crasi delle due appena citate, si evolve in prosumer, ossia produttore e consumatore, o meglio autoconsumatore (consumando direttamente ciò che produce, ma anche cedendo l’eccedenza).

Insomma: possono diventare piccoli venditori di energia rinnovabile anche le famiglie, e così pure altri soggetti, compresi imprese e professionisti sempre che non sia la loro attività principale.

La novità: la disciplina dell’autoconsumo a livello collettivo e di comunità (l’autoconsumo collettivo e la comunità energetica)

In linea di principio l’autoconsumo di energie rinnovabili, e quindi, come si diceva, il possedere un impianto di produzione di energia rinnovabile anzitutto per il proprio consumo, potendo però anche immagazzinarla e venderla, può avvenire da parte di un solo soggetto (in forma cioè individuale) oppure da parte di più soggetti (in forma cioè aggregata).

L’autoconsumo di energie rinnovabili da parte di una pluralità di soggetti, proprietari di un unico impianto o anche di diversi impianti, può concretamente realizzarsi in un ambito ristretto, quale può essere uno stesso edificio o condominio, o più ampio, quale può essere un insieme di edifici o condominii, e addirittura un isolato o un quartiere.

Attività del genere non sono libere: sinora era consentito, in sostanza, solo ed esclusivamente produrre energia da consumare subito, immettendo in rete gratuitamente l’eccedenza.

La novità sta appunto nella disciplina (relativamente recente e comunque provvisoria, come vedremo) che è intervenuta non solo per permettere ma anche per incentivare alcune modalità di autoconsumo di energie rinnovabili, specificamente da parte di aggregazioni di soggetti.

Sono ora previste, e possono godere degli incentivi, due configurazioni:

A) più soggetti possono associarsi per divenire autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente (art. 30 comma secondo decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199); chiamiamole autoconsumo collettivo; va segnalato che:

gli autoconsumatori devono trovarsi nello stesso edificio o condominio (lettera a) dell’art. cit.): è quindi specificato l’ambito territoriale della aggregazione in autoconsumo collettivo, espressamente limitato ad un unico edificio o condominio; il riferimento pare essere all’edificio di un unico proprietario con più inquilini o comunque soggetti diversi che a qualche titolo lo usano, e soprattutto all’edificio con almeno due unità immobiliari, di proprietà in via esclusiva di soggetti che sono anchecomproprietari delle parti comuni, come viene definito il condominio, per restare in tema, da una legge sulla efficienza energetica2; non va tuttavia dimenticato che, con la riforma del 2012, in primo luogo nell’art. 1117 codice civile l’elenco delle parti comuni dell’edificio è fatto non più con riferimento ad una pluralità di proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio (vecchio testo), bensì con riferimento ad una pluralità di proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio (nuovo testo), e d’altra parte è stato introdotto, di seguito, l’art. 1117-bis codice civile, che estende l’ambito di applicabilità delle norme sul condominio in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’articolo 1117; in ogni caso, anche attribuendo al termine condominio tale significato, l’ambito potenziale dell’autoconsumo collettivo è comunque molto ristretto;

ciascun autoconsumatore può produrre e accumulare energia, ovvero possono essere realizzati impianti comuni (lettera b) dell’art. cit.): quindi la produzione dell’aggregazione in autoconsumo collettivo può derivare indifferentemente da un impianto comune, o impianti individuali; non sembra richiesto che si tratti di impianti realizzati successivamente ad una certa data.

B) più soggetti possono organizzarsi in comunità energetiche rinnovabili (art. 31 decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199); dunque comunità energetica; va segnalato che:

la comunità è un soggetto di diritto autonomo e l’esercizio dei poteri di controllo fa capo esclusivamente a persone fisiche, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, ivi incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale nonchè determinate amministrazioni locali (lettera b) del primo comma dell’art. cit.); inoltre, la partecipazione alle comunità energetiche rinnovabili è aperta a tutti i consumatori, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili (lettera d) del primo comma dell’art. cit.): non è invero specificato l’ambito territoriale della aggregazione in comunità energetica, implicitamente esteso a più edifici o condomini: è stabilito solo che l’energia puo’ essere condivisa nell’ambito della stessa zona di mercato (riferimento non inequivocabile, essendo spazi virtuali, secondo classificazioni diverse), tuttavia è richiamato per l’accesso agli incentivi il requisito di connessione alla medesima cabina primaria (riferimento inequivocabile, essendo strutture fisiche: si tratta dei punti del sistema elettrico in cui arriva l’elettricità dalle linee in alta tensione per essere trasformata in media tensione e distribuita ad uso domestico o industriale; per avere un’idea, in Italia le cabine primarie sono circa 2000); stante ciò, l’ambito potenziale delle comunità energetiche è davvero molto ampio;

ciascun consumatore che partecipa a una comunità può detenere impianti a fonti rinnovabili, ma ai fini dell’energia condivisa rileva solo la produzione di energia rinnovabile degli impianti che risultano nella disponibilità e sotto il controllo della comunità (lettera a) del secondo comma dell’art. cit.): quindi la produzione dell’aggregazione in comunità energetica può derivare esclusivamente da un impianto comune, o da impianti individuali assoggettati però a controllo di essa; è richiesto che si tratti di impianti realizzati successivamente all’entrata in vigore della normativa di attuazione, con limitata possibilità di adesione per quelli già esistenti (lettera d) del secondo comma dell’art. cit.).

Va segnalato che in entrambe le configurazioni (sia per l’autoconsumo collettivo, sia per la comunità energetica) i contratti che le costituiscono devono:

– consentire di recedere in ogni momento, eventualmente prevedendo corrispettivi in caso di recesso anticipato ma comunque equi e proporzionati (art. 32 lettera b del comma primo);

– individuare univocamente un soggetto che sia sempre responsabile del riparto dell’energia condivisa, ed a cui possono demandare la gestione delle partite di pagamento e di incasso verso i venditori e il GSE (art. 32 lettera c) del comma primo).

In realtà, le due configurazioni si distinguono non per le finalità, che sono identiche, nè per l’operatività, che è analoga: oltre al diverso trattamento a livello di incentivi conseguibili (la durata assicurata degli incentivi – sperando che non vada a finire come per il superbonus … – è sempre di venti anni, ma essi sono percentualmente superiori per la comunità energetica rispetto all’autoconsumo collettivo: 110 €/MWh nel primo caso e 100 €/MWh nell’altra ipotesi), la differenza sembra essenzialmente dimensionale (ambito territoriale potenzialmente vastissimo per la comunità energetica, e ambito limitato ad un unico edificio o condominio per l’autoconsumo collettivo) e gestionale.

Pur non essendo precisato nel dettaglio, parlare di organizzazione quale soggetto di diritto autonomo per la comunità energetica rimanda, almeno tendenzialmente, ad una soggettività con personalità giuridica e con autonomia patrimoniale (società di capitali o, più appropriatamente, ente no profit del terzo settore ?3), mentre parlare di associazione per l’autoconsumo collettivo rimanda, almeno tendenzialmente, ad una soggettività senza personalità giuridica e senza autonomia patromoniale: come del resto si riconosce al condomino.

Stiamo aspettando ancora norme ?

Abbiamo:

– DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO (UE) 11 dicembre 2018, n. 2018/2001 (detta Red II), sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili; chi volesse la trova anche qui;

– art. 42-bis del DECRETO-LEGGE 30 dicembre 2019 , n. 162 (detto Milleproproroghe), Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubblicheamministrazioni, nonche’ di innovazione tecnologica, convertito con modificazioni dalla LEGGE 28 febbraio 2020, n. 8; chi volesse lo trova anche qui;

– DELIBERAZIONE DELL’AUTORITA’ DI REGOLAZIONE PER ENERGIA RETI AMBIENTE (ARERA) 4 agosto 2020, n. 318/2020/R/EEL, Regolazione delle partite economiche relative all’energia elettrica condivisa da un gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente in edifici e condomini oppure condivisa in una comunità di energia rinnovabile; chi volesse la trova anche qui;

– DECRETO DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO (MISE) 16 settembre 2020, Individuazione della tariffa incentivante per la remunerazione degliimpianti a fonti rinnovabili inseriti nelle configurazionisperimentali di autoconsumo collettivo e comunità energeticherinnovabili, in attuazione dell’articolo 42-bis, comma 9, deldecreto-legge n. 162/2019, convertito dalla legge n. 8/2020; chi volesse lo trova anche qui;

– artt. 31-33 del DECRETO LEGISLATIVO 8 novembre 2021, n. 199, Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili; chi volesse li trova anche qui.

– DOCUMENTO DELL’AUTORITA’ DI REGOLAZIONE PER ENERGIA RETI AMBIENTE (ARERA) 2 agosto 2022, n. 390/2022/R/EEL, Orientamenti in materia di configurazioni per l’autoconsumo previste dal decreto legislativo 199/2021 e dal decreto legislativo 210/2021; chi volesse lo trova anche qui.

E’ notizia proprio di oggi che il nuovo Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha annunciato un nuovo decreto per incentivare le comunità energetiche rinnovabili, con l’avvio a breve di una consultazione pubblica (ribadendo, con l’occasione, che Crediamo fortemente nelle comunità energetiche rinnovabili: sono il segnale di una auto-organizzazione economica ed ecologica sul territorio e costituiscono un forte sviluppo per la diffusione delle energie rinnovabili. E’ una nostra priorità, lo e’ sempre stata, soprattutto in questo momento emergenziale in cui stiamo vivendo un problema con il caro energia).

Va detto che quello in esame resta un regime normativo provvisorio: l’art. 42-bis decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 prevede infatti che è consentito attivare l’autoconsumo collettivo da fontirinnovabili ovvero realizzare comunità energetiche rinnovabilisecondo le modalita’ e alle condizioni stabilitenelle more del completo recepimento della direttiva (UE)2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, inattuazione delle disposizioni degli articoli 21 e 22 della medesimadirettiva.

Oltre a questo aspetto, da non trascurare, urgono, comunque, chiarimenti sul regime fiscale: l’argomento è stato trattato in particolare nella RISOLUZIONE AGENZIA DELLE ENTRATE 12 marzo 2021, n. 18E, avente ad oggetto specificamente Configurazioni di cui all’articolo 42-bis del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020 – Comunità energetiche rinnovabili (chi volesse la trova anche qui) e, ma solo in un accenno, nella CIRCOLARE AGENZIA DELLE ENTRATE 23 giugno 2022, n. 23, avente ad oggetto in generale il superbonus, (chi volesse la trova anche qui).

Un dato è certo: il corrispettivo della vendita dell’energia è fiscalmente rilevante, costituendo reddito da tassare.

Per il Condominio non è invero una novità assoluta (si pensi all’esempio del bene comune concesso in locazione, per farne il c.d. uso indiretto, a titolo oneroso, quindi percependo somme per canone; come l’appartamento già del custode, una volta dismesso tale servizio, o lo scoperto inadeguato sia per l’uso contemporaneo che per quello turnario), ma è comunque una rivoluzione.

E’ stato chiarito che è soggetto a tassazione il corrispettivo erogato sia con riferimento alla energia autoconsumata collettivamente sia con riferimento all’energia in eccedenza in quanto non oggetto di autoconsumo collettivo, e che se il Condominio è composto solo da persone fisiche (non esercenti attività d’impresa, arti e professioni) si configura reddito diverso di cui all’articolo 67, comma 1, lettera i), del Testo Unico delle Imposte sui Redditi.

Ma come si farà se il Condominio è composto anche da persone non fisiche, e da persone esercenti attività d’impresa, arti e professioni, come pure è frequentissimo ?

Tornando al Condominio …

Come si diceva, delle due configurazioni ammesse, l’autoconsumo collettivo postula espressamente appunto che i soggetti che si aggregano si trovino in un unico edificio o condominio; la comunità energetica presuppone implicitamente un ambito più vasto, di più edifici o condominii che rientrano nella stessa zona di mercato energetico e si allacciano alla medesima cabina primaria, ma non è escluso che possa essere organizzata anche in uno stesso condominio.

I partecipanti ad un condominio che vogliano aggregarsi per l’autoconsumo di energie da fonti rinnovabili, onde essere così abilitati a produrre energia per il proprio consumo con la possibilità altresì di immagazzinarla e venderla, e conseguire gli incentivi, possono quindi valutare, in astratto, sia di associarsi in un autoconsumo collettivo, sia di organizzare una comunità energetica.

Diversi sono, ad esempio, gli incentivi; anche se pensare di creare una comunità energetica, ossia una organizzazione quale soggetto di diritto autonomo (e quindi un ente no profit del terzo settore, se non una società di capitali, con i costi iniziali e di gestione, gli adempimenti, le formalità e le responsabilità che inevitabilmente a ciò conseguono), anzichè un gruppo di autoconsumo collettivo, per il solo fine godere degli incentivi attualmente promessi in entità maggiore, potrebbe rivelarsi magari sproporzionato.

Se si resta nell’ambito del condominio, verrà logico pensare al gruppo di autoconsumo collettivo; mentre potrà ben accadere di essere coinvolti in progetti di comunità energetica di ambito più esteso, con il coinvolgimento di soggetti di più edifici o condominii di una zona.

Limitandoci al primo scenario, ossia all’autoconsumo collettivo, le situazioni possono essere diversissime, e vanno analizzate caso per caso (specie se si facesse questione non di un impianto comune, ma di una pluralità di impianti individuali, pur sempre all’interno dell0 stesso edificio o condominio).

Proviamo ad esaminare l’ipotesi più semplice, ossia dell’impianto comune per la produzione di energia elettrica come ad esempio un fotovoltaico sul tetto, a iniziativa e a beneficio di tutti i condòmini (non casualmente abbiamo scritto beneficio anzichè proprietà, potendo questa appartenere ad un terzo, ma all’uopo convenzionato con il condominio4).

Devono essere tenuti distinti il piano del dotarsi di un tale impianto e quello del gestirlo per autoconsumo collettivo, benchè, all’evidenza, siano connessi e di fatto interdipendenti (posto che per la convenienza di dotarsi dell’impianto il giovarsi poi dell’autoconsumo potrebbe essere determinante).

Decidere di dotarsi di un impianto del genere è senza dubbio materia di competenza assembleare, e valgono le regole sulle innovazioni:

– sia quanto alle maggioranze: che saranno, di regola, quelle delle già ricordate innovazioni agevolate ex art. 1120 comma secondo codice civile, e quindi non occorrono i due terzi del valore dell’edificio, 666/1000, essendo sufficiente metà del valore dell’edificio, 500/1000; ma potrebbe bastare anche un terzo del valore dell’edificio, 333/1000, se l’intervento viene effettuato beneficiando del superbonus, e ex art. 119 comma 9-bis d.l. rilancio, o anche semplicemente con attestato di prestazione energetica o diagnosi energetica di tecnico abilitato, ex art. 26 comma 2 legge 10/1991.

– sia quanto a limiti: che saranno anzitutto quelli ex art. 1120 comma quarto codice civile, sulle innovazioni vietate5, ed eventualmente quelli ex art. 1121 codice civile, sulle innovazioni gravose o voluttuarie6 (un impianto per produrre energia rinnovabile idonea all’autoconsumo presumibilmente non si potrà sostenere che abbia carattere voluttuario, ma potrebbe essere eccepita la gravosità della spesa, qualora non fosse coperta almeno in misura prevalente da bonus o da incentivi).

Intendiamo dire: sulla installazione dell’impianto, senza dubbio, nel rispetto dei limiti, vale la maggioranza.

Per il pieno e proficuo funzionamento dell’impianto attraverso un gruppo di autoconsumo collettivo queste regole non sembrano però senz’altro applicabili.

Come già sopra accennato, il legislatore stabilisce che i clienti finali organizzati in una delle configurazioni di cui agli articoli 30 e 31(quindi sia l’autoconsumo collettivo sia la comunità energetica) possono recedere in ogni momento dalla configurazione di autoconsumo(art. 32 comma primo lettera b) del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199).

Questo recesso è garantito rispetto alla aggregazione: se ciascun partecipante, dopo che ha aderito, può sempre recedere, a maggior ragione non può essere obbligato da alcuno ad aderire.

Pare quindi da escludere che, sulla adesione, una maggioranza possa obbligare una minoranza; e desterebbe perplessità anche il prescindere da espresse manifestazioni di volontà individuali, presumendo il consenso, o dando rilevo alla mancata impugnazione nel termine decadenziale di eventuali delibere adottate non all’unanimità, come fosse un vizio di annullabilità.

Nonostante la ragionevolezza e convenienza, una volta che ci si doti di un impianto del genere, di attivare la configurazione di autoconsumo collettivo costituendo l’associazione, si profilano quindi affatto remote situazioni di impasse, specie in condominii con numerosi partecipanti, e tra essi qualche situazione problematica (unità il cui proprietario è deceduto e la successione non è ancora perfezionata, o avrebbe bisogno di amministrazione di sostegno e la procedura non è ancora avviata etc etc).

Ciò posto, va però ricordato che il consenso per l’associazione in autoconsumo collettivo potrà comunque essere manifestato in sede di assemblea (si veda Cass. n.2297/967, sulla transazione tra condòmini; a maggior ragione può valere per altri accordi comunque tra i condòmini), oltre che raccolta separatamente o successivamente.

L’associazione in gruppo di autoconsumo collettivo non può che essere un atto contrattuale, e infatti il legislatore precisa che i clienti finali organizzati in una delle configurazioni di cui agli articoli 30 e 31(quindi sia l’autoconsumo collettivo sia la comunità energetica) regolano i rapporti tramite un contratto di diritto privato(art. 32 comma primo lettera c) del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199).

Tale contratto di diritto privato in concreto sembra poter seguire gli schemi di quelli delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche (art. 36 codice civile) e per i comitati (art. 39 codice civile), ovvero di quelli delle società di persone (artt. 2251 e ss. codice civile), configurandosi però, in questo caso, attività commerciale (con costi iniziali e di gestione, adempimenti, formalità e responsabilità, di certo inferiori rispetto alle società di capitali ma comunque non trascurabili).

Relativamente alla forma, non risultano previsioni particolari: dovrebbe essere sufficiente una scrittura privata e non dovrebbe essere necessario un atto notarile, sempre però che con l’associazione non si compiano atti dispositivi di diritti reali immobiliari a cui consegua necessità di trascrizione8.

Relativamente al contenuto, come già sopra accennato, il legislatore stabilisce che i clienti finali organizzati in una delle configurazioni di cui agli articoli 30 e 31(quindi sia l’autoconsumo collettivo sia la comunità energetica) devono individuare (e specifica: univocamente) un soggetto, responsabile del riparto dell’energia condivisa, al quale possono demandare la gestione delle partite di pagamento e di incasso verso i venditori e il GSE

Nella generalità dei condominii verrà naturale designare l’amministratore: se da un lato per scelte diverse non mancherebbero controindicazioni (già solo per il coordinamento rispetto alla contabilità condominiale), dall’altro lato vengono ad aggiungersi ennesime attività e ennesime responsabilità alle già numerosissime del professionista, ulteriori alle attribuzioni proprie per legge (per cui andrà aggiornato il tariffario su cui si perfeziona il contratto di mandato, inserendo una nuova, apposita voce, con relativo compenso).

Infine, merita una riflessione la natura dell’impianto elettrico.

Una volta validamente deliberata l’innovazione avente per oggetto il sistema di produzione e immagazzinamento dell’energia da fonti rinnovabili, non pare dubitabile che l’impianto realizzato sia bene comune dei condòmini ex art. 1117 c.c. che, come noto, menziona, al n. 3, le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell’aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo ...

Proviamo a fare mente locale agli impianti di riscaldamento e agli impianti elettrici nella generalità dei condominii.

In molti condominii l’impianto di riscaldamento è di tipo centralizzato, nel senso che serve a riscaldare non solo le parti comuni, ma anche le unità esclusive: nella contabilità condominiale si troveranno quindi sia le spese per riscaldare le parti comuni, divise per millesimi, sia le spese per riscaldare le unità esclusive, addebitate a ciascuno secondo il consumo individuale, misurato mediante i contatori.

Negli altri condominii l’impianto di riscaldamento è di tipo autonomo (talvolta anche a seguito di distacco da un originario unico impianto centralizzato, in presenza delle condizioni previste dalla legge o comunque essendo stato consentito), nel senso che l’impianto comune serve a riscaldare solo ed esclusivamente le parti comuni, e solo le relative spese si troveranno nella contabilità condominiale, divise a millesimi; le unità esclusive per il loro riscaldamento hanno all’interno impianti propri, e le relative spese sono da ciascuno sostenute direttamente, senza entrare nella contabilità condominiale.

L’impianto elettrico, invece, in quasi tutti i condominii è composto da una utenza condominiale, per i servizi comuni (dall’illuminazione delle parti comuni alla alimentazione dell’autoclave, dell’ascensore, dei motori dei cancelli elettrici etc etc), le cui spese si troveranno nella contabilità condominiale, divise a millesimi, e da utenze individuali, per quanto serve nelle unità esclusive, le cui spese sono da ciascuno sostenute direttamente, senza entrare nella contabilità condominiale.

Attualmente i condominii che hanno già in funzione un impianto che produce elettricità da rinnovabili possono usufruirne per le parti comuni, collegandolo appunto all’utenza comune: senza la configurazione in autoconsumo collettivo è precluso non solo venderne l’eccedenza rispetto al consumo, ma anche che ne possano usufruire i singoli condòmini per le unità esclusive.

A seguito della associazione in autoconsumo collettivo, diventano possibili entrambe le cose, e si viene a creare, per l’impianto elettrico, a ben vedere, una situazione analoga a quella dell’impianto di riscaldamento centralizzato, in cui il consumo di elettricità del singolo condomino viene misurato dai contatori della utenza individuale collegata al sistema comune.

Esorbita dai limiti del presente contributo, anche per la preponderanza delle questioni tecniche, l’analisi del passaggio dallo schema “da uno a uno” (ossia: una unità di produzione a servizio di una unità di consumo, come ad esempio l’utenza comune dell’edificio condominiale) allo schema, possibile appunto con l’autoconsumo collettivo, “da uno a molti” (ossia: una unità di produzione a servizio di più unità di consumo, come ad esempio non solo l’utenza comune dell’edificio condominiale ma anche le utenze individuali delle singole unità), attraverso i sistemi fisici (cioè creando un unico punto di accesso alla rete pubblica) o virtuali, anche detti commerciali (cioè mantenendo più punti di accesso alla rete pubblica, ed anzi utilizzando essa per lo scambio di energia tra l’unità di produzione e le unità di consumo).

Ciò che preme evidenziare è che, anche in considerazione della analogia che abbiamo sopra individuato, se da un lato, come detto, la partecipazione al gruppo di autoconsumo collettivo non potrà mai essere imposta, dall’altro lato, per converso, pare sostenibile che i condomini interessati possano nondimeno associarsi tra loro, anche qualora taluno non aderisse, e restasse, per sua volontà (anzi non volontà), staccato dal sistema di cui all’impianto comune con collegate l’utenza comune e quelle individuali dei singoli che si sono appunto associati al fine in questione.

Sembra sia ammissibile, in definitiva, qualora non tutti i condòmini aderiscano all’autoconsumo collettivo, una associazione costituita soltanto dai condòmini ad un tanto intenzionati, ciò senza quei condomini che, per qualsiasi ragione, non vogliano o non possano approfittare dei vantaggi che offre l’impianto elettrico centralizzato.

* * *

1 art. 2 n. 1) direttiva del parlamento europeo e del consiglio 11 dicembre 2018, n. 2018/2001 (detta Red II),

2 art. 2, lettera f) decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102

3 per l’art. 31 comma primo lettera a) del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 l’obiettivo principale della comunità è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi soci o membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di realizzare profitti finanziari; che però non sembrano esclusi, se restano secondari

4 per l’art. 30 comma primo lettera a) numero 1) del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 l’impianto dell’autoconsumatore di energia rinnovabile può essere di proprietà di un terzo o gestito da un terzo in relazioneall’installazione, all’esercizio, compresa la gestione dei contatori,e alla manutenzione, purchè il terzo resti soggetto alle istruzionidell’autoconsumatore di energia rinnovabile, e il terzo non è di persè considerato un autoconsumatore di energia rinnovabile

5 Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.

6 Qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.

Se l’utilizzazione separata non e’ possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.

Nel caso previsto dal primo comma i condomini e i loro eredi oaventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare aivantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione edi manutenzione dell’opera.

7 Il verbale di assemblea condominiale può essere impiegato per consacrare particolari accordi fra il condominio ed uno dei condomini, purché il documento sia sottoscritto da tutti i contraenti. In tal modo esso acquista effetto probante e la funzione propria della scrittura privata, fa fede della manifestazione di volontà contrattuale di tutti gli intervenuti e la sottoscrizione vale a conferire alla convenzione la forma scritta che sia richiesta ad substantiam ovvero ad probationem.

8 infatti per l’art. 2643 n. 10) codice civile 10) Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione i contratti di società e di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari, quando la durata della società o dell’associazione eccede i nove anni o è indeterminata.

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