CONDOMINIO – Cassazione Civile sez. II, 14.6.23 n. 16934 – Legittimazione ad agire del singolo condòmino quale comproprietario pro quota delle parti comuni

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La Corte di Cassazione torna sulla questione della legittimazione ad agire del singolo condòmino quale comproprietario pro quota delle parti comuni.

L’Amministratore, si sa, è il legale rappresentante del Condominio (art. 1131 c.c.).

Quanto alle liti attive, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi, ma:

nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c. (vedasi, in particolare, il curare l’osservanza del regolamento di condominio, il riscuotere i contributi e il compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio)

o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio

– o dei maggiori poteri conferitigli dall’assemblea (vedasi, in particolare, le deliberazioni che concernono le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, le quali devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).

Quanto alle liti passive, l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio (e non altre).

Tale legittimazione ad agire dell’Ammiministratore a tutela del Condominio non esclude affatto, però, quella dei singoli condòmini, in ragione del fatto che il condominio si configura come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, per cui l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa degli interessi, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale.

La sentenza in esame ribadisce ora, quale costante e consolidato orientamento, che:

– il singolo condòmino di un edificio conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni

– egli ha certamente la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria nel caso di inerzia dell’amministrazione del condominio, a norma dell’art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall’art. 1139 c.c.

– egli ha però nondimeno anche il potere di intervenire nel giudizio in cui la difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni sia stata già assunta legittimamente dall’amministratore, nonché di esperire i mezzi di impugnazione necessari ad evitare gli effetti sfavorevoli della pronuncia resa nei confronti di tale organo rappresentativo unitario (cfr. Cass. 11 gennaio 1979 n. 202; Cass. 7 giugno 2011 n. 12291): e logico corollario di tali principi è quello che il singolo condomino può promuovere le azioni (o resistere alle azioni da altri proposte) a tutela dei suoi diritti di comproprietario pro quota anche allorquando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio oppure ricorrere all’intervento sostitutivo dell’autorità giudiziaria nell’interesse della res, se intendono evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune in presenza di una paralisi gestionale, perché non si prendono i “provvedimenti necessari per l’amministrazione” della stessa, avendo tale suo potere carattere autonomo.

Giova ricordare che questi principi, in sè pacifici, presuppongono che si faccia questione di tutela di beni comuni, e non valgono, ad esempio, per i giudizi di impugnazione di delibere assembleari.

E’ stato infatti affernato (vedasi Cassazione civile sez. II, 04/05/2005, n.9213; idem Cassazione civile sez. II, 21/09/2011, n.19223) che il principio per cui, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata, affermato in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota di ciascun condomino in ordine alle parti comuni, o lato sensu tali, od esclusivo sulla singola unità immobiliare, od anche personali, ove incidenti in maniera immediata e diretta sui loro diritti, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un servizio comune, bensì la gestione di esso, ed intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, o l’esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, nelle quali non v’è correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più partecipanti, bensì con un interesse direttamente collettivo e solo mediatamente individuale al funzionamento ed al finanziamento corretti dei servizi stessi, onde in tali controversie la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore.

Civile Ord. Sez. 2 Num. 16934 Anno 2023
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: FALASCHI MILENA
Data pubblicazione: 14/06/2023

(omissis)

FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:

– con atto di citazione notificato il 13 aprile 2010 V*, nella qualità di proprietario di due unità immobiliari ubicate al piano terra e al terzo piano del fabbricato sito in *, evocava, dinanzi al Tribunale di Agrigento, i condomini nonché fratelli V* e V*, proprietari, rispettivamente, il primo, di due unità immobiliari ubicate al piano terra e al secondo piano dello stesso stabile, ed il secondo, di due unità immobiliari ubicate al piano terra e al primo piano del palazzo, per sentire accertare e dichiarare l’illegittimità della installazione nei pianerottoli della scala di mobili ad uso esclusivo dei proprietari degli appartamenti posti ai piani primo e secondo (in particolare quanto alla disciplina degli sportelli a chiusura della nicchia posta nell’intercapedine muraria), ordinando loro il ripristino dello stato dei luoghi quo ante; la erroneità della elaborazione e redazione della tabella millesimale contrassegnata con la lettera C, disponendo ove occorreva la formazione di una nuova tabella relativa alla ripartizione delle spese per la luce delle scale e per la loro pulizia, con conseguente pronuncia ex art. 69 disp. att. c.c.; inoltre, la illegittimità della installazione della canna fumaria posta sulla sommità del fabbricato dai convenuti con rimozione;

– instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il giudice adito, disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 560 del 2012, dichiarava inammissibili le domande attrici per mancata richiesta di convocazione dell’assemblea condominiale sulle questioni de quibus, che costituiva condizione necessariamente prodromica alla proposizione del giudizio, con condanna dell’attore al rimborso delle spese processuali in favore di V., dichiarandole compensate nei confronti di V., poste le spese della consulenza tecnica d’ufficio definitivamente a carico dell’attore;

– sul gravame interposto da V*, la Corte di appello di Palermo, nella resistenza di V*, contumace V*, con sentenza n. 1808 del 2017, pubblicata il 10 ottobre 2017, in accoglimento dell’impugnazione e in riforma della sentenza del giudice di prime cure, condannava gli originari convenuti a rimuovere i mobili e similari dagli stessi collocati nel corpo di scale a loro esclusivo uso, ripristinando l’originario stato dei luoghi; condannava V.m. alla rimozione della canna fumaria, con ripristino dello stato dei luoghi; disponeva l’adozione da parte del Condominio delle tabelle B e C allegate alla relazione del c.t.u., con efficacia delle stesse dalla data della pronuncia, e regolava le spese del giudizio.

A sostegno della decisione la Corte territoriale evidenziava preliminarmente l’inammissibilità dell’eccezione di V* di intervenuta usucapione quanto al diritto dello stesso ad utilizzare lo spazio dell’intercapedine muraria di confine del pianerottolo posto al primo piano e al diritto di utilizzare la canna fumaria, per essere stata sollevata tardivamente con riferimento ai termini di cui all’art. 167, comma 2 c.p.c. Nel merito, osservava che dalla consulenza tecnica era emerso che i convenuti avevano trasformato di fatto il pianerottolo in modo permanente e tale che impediva un pari uso degli altri condomini; rilevava, altresì, che V* aveva collocato la canna fumaria ad una distanza dal tetto inferiore a quella legale pari a 75 cm, oltre a non rispondere alla norma UNI 7129 par.4.3.3 (per non essendo posta ad almeno 50-100 cm di altezza dalla linea di colmo); aggiungeva che dalla relazione tecnica era emersa la presenza di lesioni nel condotto della canna che causavano la fuoriuscita di fumi e odori, superando la tollerabilità di cui all’art. 844 comma 1 c.c..

Disponeva, inoltre, l’adozione da parte del Condominio di nuove tabelle millesimali, allegate alla relazione del c.t.u. geom. P*, in quanto nulla impediva di effettuare una revisione di quelle utilizzate precedentemente, peraltro elaborate conformemente alle osservazioni delle parti relativamente ai servizi. Il giudice di secondo grado condannava poi entrambi i convenuti al pagamento in solido delle spese dei due gradi di giudizio in favore di V*;

– avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo proponeva ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, V*, cui resisteva con controricorso V*;

– è rimasto intimato V.P.C.;

– in prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

DIRITTO

Considerato che:

– va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso dedotta nel controricorso ai sensi dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c. per violazione del principio di autosufficienza. Essa è infondata. Le censure enunciano le violazioni denunciate con argomentazioni pienamente comprensibili e con un puntuale richiamo alle vicende processuali, consentendo a questa Corte la decisione sulle questioni sollevate sulla base di quanto esposto nell’atto di impugnazione, non occorrendo una più analitica specificazione del contenuto dei documenti, delle censure sollevate nei precedenti gradi di causa e delle decisioni di merito;

– passando al merito, con il primo motivo il ricorrente lamenta vizio di nullità ex art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c in relazione al contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella motivazione della sentenza impugnata e per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di appello ravvisato un errore nel riferimento effettuato dal giudice di prime alla mancata convocazione dell’assemblea condominiale da parte del ricorrente stesso, nonostante questi non avesse mai fatto cenno ad assemblee condominiali e mai avesse riprodotto verbali relativi a tali assemblee.

La censura è priva di pregio.

Per il costante e consolidato orientamento di questa Corte il condomino di un edificio conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, con la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria nel caso di inerzia dell’amministrazione del condominio, a norma dell’art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall’art. 1139 c.c. In particolare, è stato rilevato che il singolo condomino ha anche il potere di intervenire nel giudizio in cui la difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni sia stata già assunta legittimamente dall’amministratore, nonché di esperire i mezzi di impugnazione necessari ad evitare gli effetti sfavorevoli della pronuncia resa nei confronti di tale organo rappresentativo unitario (cfr Cass. 11 gennaio 1979 n. 202; Cass. 7 giugno 2011 n. 12291). Logico corollario di tali principi è quello che il singolo condomino può promuovere le azioni (o resistere alle azioni da altri proposte) a tutela dei suoi diritti di comproprietario pro quota anche allorquando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio oppure ricorrere all’intervento sostitutivo dell’autorità giudiziaria nell’interesse della res, se intendono evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune in presenza di una paralisi gestionale, perché non si prendono i “provvedimenti necessari per l’amministrazione” della stessa, avendo tale suo potere carattere autonomo.

La previsione, ad opera del medesimo art. 1105, comma 4 c.c., dello specifico rimedio del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all’autorità giudiziaria perché adotti gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione (ivi compresi gli atti di conservazione), che preclude al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice in sede contenziosa per ottenere provvedimenti di gestione della res, invocato dal ricorrente (Cass. 8 settembre 1998 n. 8876; Cass., Sez. Un., 19 luglio 1982 n. 4213), attiene alla ben più circoscritta ed esclusiva fattispecie in cui la richiesta di decisioni sia finalizzata alla sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti.

Rileva il Collegio che la questione è stata di recente esaminata dal Supremo consesso (sentenza n. 10934 del 2019) che ha affermato come non possa negarsi la legittimazione alternativa individuale al singolo condomino quando si sia in presenza di cause introdotte da un condomino o da un terzo che incidano sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune. La pronuncia in questione nel ribadire la tradizionale tesi dell’assenza di personalità e soggettività giuridica autonoma per il Condominio, ha altresì confermato che allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non può negarsi la legittimazione alternativa individuale. Non sarebbe concepibile la perdita parziale o totale del bene comune senza far salva la facoltà difensiva individuale (v. anche Cass. n. 11802 del 2020);

– con il secondo motivo il ricorrente lamenta un vizio di nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riferimento all’art. 112 e all’art. 345 c.p.c. in quanto il giudice di secondo grado, affermando nella sentenza impugnata che le lesioni nel condotto della canna fumaria causavano la fuoriuscita di fumi e odori superando i limiti di tollerabilità previsti dall’art. 844, comma 1 c.c., statuiva su un argomento nuovo ed estraneo rispetto a quanto esposto nell’atto di citazione di primo grado. Assume il ricorrente che si tratterebbe di circostanza emersa per la prima volta in occasione del sopralluogo effettuato dal c.t.u. geom. P* in data 08.04.2011, di cui era stata prontamente contestata la novità dal c.t.p. nella verbalizzazione. Del resto, che l’argomento sia assolutamente nuovo emerge dallo stesso atto di appello di V* nel quale viene dedotto che “…a seguito di perizia tecnica effettuato in loco è stata rilevata la presenza di lesioni sul condotto del canna che causano la fuoriuscita di fumi e di odori…creando disagi agli inquilini superando livelli di accettabilità”, riproducendo il passo di pag. 16.

La doglianza è infondata.

Vertendosi in giudizio relativo ad immissioni (nella specie, fuoriuscita di fumi e di odori dalla canna fumaria), i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità previsto dall’art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica, che vengono di regola compiuti mediante apposita consulenza tecnica d’ufficio con funzione “percipiente”, in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l’intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone (Cass. n. 1606 del 2017, in motivazione).

Tanto chiarito, rileva la Corte che la consulenza tecnica disposta nel corso del giudizio di primo grado ha correttamente tenuto conto del fatto accertato nel corso del sopralluogo circa l’esistenza di lesioni nel condotto della canna fumaria da cui fuoriuscivano fumi ed odori, ed infatti, come è dato leggere dallo stesso ricorso e dagli stralci della relazione depositata dal tecnico, così come riportati in sintesi nella sentenza impugnata, il consulente tecnico d’ufficio, al dichiarato fine di valutare l’incidenza delle immissioni che insistevano nella unità abitativa dell’attore, e quindi la tollerabilità o meno delle stesse, agli effetti previsti dall’art. 844 c.c., trattandosi di una condizione dell’azione, è verificabile, come tale, tenendo conto anche dei fatti eventualmente sopravvenuti nelle more del giudizio (Cass. n. 6718 del 1981; Cass. n. 18422 del 2013). Nel caso di specie, dunque, le ragioni esposte nella consulenza nascevano da specifici fatti di portata rilevante, quale sicuramente è l’esecuzione di opere volte all’abbattimento delle immissioni;

– con il terzo motivo il ricorrente rileva la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per difetto di motivazione ex art. 132 n. 4 c.p.c ed ai sensi art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio discusso, quale error(es) in procedendo. Ad avviso del ricorrente, infatti, la Corte di appello di Palermo avrebbe fondato e motivato la sua decisione sulla base di emergenze istruttorie insussistenti ed erronee, per cui sarebbe incorsa in un abuso della libertà di convincimento nella parte della sentenza in cui ha ritenuto che l’istallazione nel fabbricato di una canna fumaria di proprietà esclusiva del condomino V* fosse collocata a una distanza inferiore a quella legale pari a 75 centimetri.

Il mezzo è privo di pregio.

Premesso che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dall’art. 54 D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012 (v. Cass. n. 27847 del 2021; Cass. n. 23940 del 2017), il giudice di merito ha tratto il proprio convincimento dall’esito dell’accertamento peritale, che nell’effettuare le misurazioni in loco ha verificato la collocazione della canna fumaria, di proprietà esclusiva di V.M., ad una distanza inferiore a quella legale (che prevede 75 cm.) (v. alle pagine 6 e 7 della sentenza impugnata in cui vengono richiamate espressamente le pagine 10 e 11 della relazione peritale).

Sul punto va detto che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo: in particolare, il giudice del merito ben può trarre elementi di convincimento dalla consulenza d’ufficio, soprattutto in ipotesi di perizia da definirsi di tipo percipiente, come nella specie (Cass. n. 36638 del 2021). Ne consegue che la denuncia di assenza di motivazione è priva di specificità;

– con il quarto motivo il ricorrente deduce vizio di nullità ex art. 360 n. 3 in relazione alla violazione di norme di diritto sostanziale ed erronea applicazione di esse e delle conseguenze giuridiche da esse derivanti, per avere la Corte territoriale con la sentenza impugnata governato erroneamente l’art. 12 disposizioni preleggi, artt. 1175, 1362 a 1371, 1372, 1375 e artt. 115 e 116 c.p.c. e trascurando, inoltre, cospicua giurisprudenza di legittimità.

La Corte, inoltre, al fine di giustificare l’adozione delle nuove tabelle massimali redatte dal c.t.u. geom. P. ricorreva ad affermazioni apodittiche e paralogiche non fondate e non corrette giuridicamente.

La censura è da ritenere inammissibile alla luce delle argomentazioni esposte nella sentenza impugnata alle pagine 6 e 7.

Occorre precisare che la parte che chiede la modifica delle tabelle millesimali non è tenuta al gravoso onere probatorio di dimostrare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, avendo questa Corte statuito che la parte istante debba fornire, anche implicitamente, la sola prova di siffatta divergenza (cfr. Cass. n. 21950 del 2013; Cass. n. 11290 del 2018), spettando poi al giudice di verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi – quali la superficie, l’altezza di piano, la luminosità, l’esposizione – incidenti sul valore effettivo di esse, e quindi adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. n. 5942 del 1998).

Nella specie la Corte territoriale, nel riferire la natura negoziale delle tabelle redatte dall’ing. C*, dal tenore del verbale del 1 ottobre 2000 redatto nello studio della professionista, deducendo che non era intenzione dei condomini modificare la portata dei rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione, ma solo per determinarne la portata a livello quantitativo, ragione per la quale veniva ritenuta ammissibile la revisione delle tabelle predisposta dal c.t.u., geom. P*, peraltro sulla base delle osservazioni delle parti relativamente ai servizi.

La corte di merito, poi, ha chiarito che stante l’efficacia costitutiva della revisione, le stesse avevano efficacia dalla pronuncia.

Ne’ il ricorrente indica quali specifiche norme tecniche che, dettate dall’art. 68 disp. att. c.c., sarebbero state violate dal consulente tecnico di ufficio, trattandosi in ogni caso di determinare il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare rispetto a quello dell’intero edificio, tenuto conto di elementi tipo quali il numero dei vani, l’ampiezza e, in generale, le caratteristiche principali degli appartamenti;

– da ultimo, con il quinto motivo il ricorrente rileva un vizio di nullità ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 1102 c.c. Ad avviso del ricorrente, tale vizio sarebbe da configurare con riferimento alla disposta rimozione dei mobili posti sui pianerottoli ordinata dalla Corte di appello di Palermo, statuizione che sarebbe del tutto infondata in quanto non poggiante su alcuna situazione condominiale reale.

L’ultima censura è palesemente inammissibile avendo la Corte disposto l’ordine diretto al ripristino dello stato di fatto mutato, anche contro la volontà dei condomini che vi avevano dato luogo, proprio a tutela del compossesso degli altri condomini, compromesso dalla condotta di coloro che avevano determinato lo spoglio ignorando la situazione di compossesso e/o comproprietà altrui.

In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo in favore del solo V*, rimasto intimato V*, nei cui confronti, peraltro, non risultano essere state svolte domande.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di V* che si liquidano in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile

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