CONDOMINIO – Morosità in Condominio: recupero dei crediti e responsabilità dell’Amministratore – SECONDA PARTE

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Morosità in Condominio: recupero dei crediti e responsabilità dell’Amministratore – SECONDA PARTE

Il Centro Studi Anaci Veneto ha segnalato a tutti gli Associati (Informazione Flash n. 2 del 31.1.24) una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. III, 28.12.23 n. 36277) sulla responsabilità dell’Amministratore per non aver promosso azioni giudiziarie volte al recupero delle spese condominiali non versate dai morosi.

La pronuncia citata riguarda una fattispecie addirittura anteriore alla riforma del Condominio intervenuta con la L. 220/12: la Suprema Corte ha ritenuto che l’obbligo dell’Amministratore di provvedere al recupero dei crediti condominali sussiste già sulla base delle regole originariamente presenti nel Codice Civile (art. 1130 comma I c.c., che include tra le attribuzioni dell’Amministratore quella di riscuotere i contributi; art. 63 comma I disp.att. c.c., che prevede, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’Assemblea, la possibilità dell’Amministratore di ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione).

Tale obbligo a fortiori sussiste a seguito della riforma di cui alla L. 229/12 poichè essa (oltre a precisare, nell’art. 63 comma I disp.att. c.c., che il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo può essere chiesto dall’Amministratore senza bisogno di autorizzazione dell’Assemblea) ha introdotto, nell’art. 1129 c.c. su nomina, revoca ed obblighi dell’Amministratore, un apposito comma, spesso trascurato, in cui si stabilisce un termine, sull’avvio delle iniziative, e si pone una regola, sulla competenza a decidere tra gli organi della gestione.

Si tratta del comma IX, che così recita: salvo che sia stato espressamente dispensato dall’Assemblea, l’Amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’Art. 63 comma I disp.att. c.c. (ossia, appunto, ottenendo decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione).

La stessa riforma, d’altra parte, sempre nell’art. 1129 c.c., al successivo comma XII ha menzionato tra le gravi irregolarità che sono motivo di revoca giudiziale, qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva.

Occorre quindi prestare molta attenzione al riguardo.

Nel contributo del mese scorso abbiamo accennato al rischio di responsabilità risarcitoria; nel presente esaminiamo più approfonditamente il contenuto della norma, in particolare relativamente al termine semestrale da rispettare ed alla sua possibile deroga.

Il termine semestrale da rispettare

La norma appare molto chiara, e il suo portato quasi lapalissiano; tuttavia una lettura attenta richiede alcune precisazioni.

Partiamo dal cosa è doveroso effettuare: agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati, e ciò anche ai sensi dell’Art. 63 comma I disp.att. c.c.; ma quale è il significato in concreto di agire per la riscossione forzosa ?

In senso proprio non c’è dubbio che vuol dire attivarsi giudiziariamente, chiedendo al Giudice di ordinare il pagamento con un provvedimento (condanna, ingiunzione) che, in mancanza, abiliti ad esecuzione forzata (pignoramento di mobili, immobili o crediti).

Ossia promuovere all’uopo una procedura che può essere quella ordinaria (la “causa”, che per il codice originario si introduceva notificando atto di citazione a comparire; a seguito di recenti riforme, che hanno inteso introdurre semplificazioni, ora prevale il ricorso, in quanto unica modalità davanti al Giudice di Pace e quale modalità semplificata davanti al Giudice del Tribunale, rispettivamente competenti, per i crediti pecuniari, il primo fino a 10 mila euro e l’altro oltre) ma sarà, quasi sempre, per ragioni di convenienza, quella speciale: e cioè il procedimento per ingiunzione, detto anche procedimento “monitorio”, caratterizzato da un cognizione inizialmente sommaria e da una cognizione piena solo eventuale (perchè, in pratica, si inverte l’onere di proporre la “causa”: una volta ottenuto il decreto ingiuntivo – fruendo peraltro di una agevolazione in punto prova, bastando allegare bilancio e riparto approvati dall’Assemblea, e in punto esecutività, venendo concessa sempre immediata – sarà infatti il condòmino, se vuole contestare di essere debitore del Condominio per la somma oggetto della ingiunzione, a dover proporre opposizione, nei quaranta giorni dalla notifica, pena, in difetto, la definitività del provvedimento).

Spesso viene chiesto se occorre attivarsi giudiziariamente (e quindi in pratica depositare nell’Ufficio del Giudice di Pace o in Tribunale il ricorso, che sarà di regola per decreto ingiuntivo) ovvero basta far inviare da avvocato una diffida.

Al riguardo si trova spesso citata una pronuncia di legittimità (v. Cass. 20.10.17 n. 24920, che ha ritenuto congrua, per ritenere sufficiente l’invio di solleciti, l’argomentazione per cui ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi sarebbe una facoltà e non un obbligo); va però detto che essa non ha considerato l’attuale disciplina, che stiamo qui ora esaminando.

La lettera inviata dell’avvocato invero non introduce alcuna procedura giudiziaria, nè abilita ad alcuna riscossione forzosa: la valenza sostanziale in punto di diritto è quella dell’atto di costituzione in mora del debitore (art. 1219 c.c.), nè più nè meno del sollecito dell’amministratore (che ha prodotto già tale effetto giuridico, in quanto richiesta per iscritto di adempimento), per cui a rigore non può ritenersi sufficiente.

Passiamo al quando è doveroso attivarsi: entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso; quindi si presuppone la esigibilità del credito e ci si riferisce alla chiusura dell’esercizio, concetti non scontati.

Il credito esigibile, per il quale si può ottenere con le agevolazioni accennate il decreto ingiuntivo, è quello di cui al riparto approvato; pacificamente sia quello derivante dal rendiconto consuntivo, sia quello derivante dal bilancio preventivo, una volta approvati, con i relativi riparti (v. Cass. 9.9.08 n.24299, che considera idoneo ai fini dell’art. 63 comma I disp. att. c.c., quale stato di ripartizione approvato, come quello del consuntivo, anche quello del preventivo).

Chiaramente solo l’esercizio a cui si riferisce il rendiconto consuntivo può dirsi chiuso, ovvio essendo che l’esercizio a cui si riferisce il bilancio preventivo è per definizione in corso, e si chiuderà appunto con il rendiconto consuntivo … solo alla fine.

Di prassi all’approvazione del rendiconto consuntivo fa seguito, con la stessa delibera, venendo posti all’o.d.g. i due argomenti in sequenza, anche quella del bilancio preventivo; e, sempre di prassi, il bilancio preventivo incorpora l’esito del rendiconto consuntivo: quanto risulta a debito o credito nello stato di ripartizione del rendiconto consuntivo si riverbera su quanto risulterebbe a debito o credito nello stato di ripartizione del bilancio preventivo e, se ne viene previsto il pagamento in più scadenze, l’eventuale debito residuo a consuntivo è conteggiato all’interno della prima rata del preventivo (al riguardo, vanno evitate ambiguità: nel predisporre il riparto del bilancio preventivo, qualora il programma di elaborazione della contabilità inserisca il debito residuo a consuntivo assieme a importo a preventivo da pagarsi non immediatamente, meglio che figuri precisato che il termine riguarda la somma corrispondente al preventivo, onde evitare che sia configurabile una remissione in termini rispetto alla somma residuata dal consuntivo).

Insomma: il dovere di agire per la riscossione forzosa è posto propriamente per le somme dovute in forza del consuntivo; una volta che si debba procedere ad un tanto (risultando tali somme impagate, nonostante magari un sollecito ultimativo, con chiaro preavviso di quanto in difetto sarà effettuato), il decreto ingiuntivo in genere si chiederà anche per le somme dovute in forza del preventivo che sarà stato presumibilmente del pari approvato dall’assemblea (invocando ove occorra l’art. 1186 c.c. per eventuali rate non ancora scadute), essendo ciò consentito dalla giurisprudenza sopra citata, e coerente ai principi di economia processuale.

D’altra parte, tornando alla esigibilità che presuppone l’approvazione, l’amministratore deve redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni (art. 1130 n. 10 c.c.): l’annualità della gestione si suole chiamare esercizio contabile e, si sa, può coincidere con l’anno solare (ossia andare dall’1 gennaio al 31 dicembre) o anche no (come è affatto infrequente).

I centottanta giorni (praticamente equivalenti a sei mesi) entro cui l’Amministratore è tenuto a convocare l’Assemblea per la approvazione del rendiconto sicuramente decorrono dalla chiusura dell’esercizio nel senso proprio della conclusione del periodo (quindi, se l’esercizio coincide con l’anno solare, e quindi termina il 31.12, 180 giorni cadono il 29.6).

I sei mesi (praticamente equivalenti a centottanta giorni) entro cui l’Amministratore è tenuto ad agire nei confronti dei condòmini obbligati per la riscossione forzosa delle somme dovute espressamente decorrono dalla chiusura dell’esercizio: nel senso sempre dalla conclusione del periodo (quindi, se l’esercizio coincide con l’anno solare, e quindi termina il 31.12, 6 mesi cadono il 30.6), salvo attribuire alla chiusura dell’esercizio il senso dell’insieme delle operazioni che conducono alla predisposizione del bilancio e alla sua approvazione (concetto diffuso nella pratica contabile e che, nell’ambito che ci occupa, troverebbe riscontro nel presupposto della esigibilità, che coincide con l’approvazione; tuttavia nella giurisprudenza non si rinvengono al momento conferme al riguardo).

Il consiglio non può essere che questo: non attendere troppo, rispetto alla fine del periodo di esercizio, per predisporre rendiconto e preventivo e convocare l’assemblea per l’approvazione; e scadenziarsi comunque con congruo anticipo i sei mesi dalla chiusura, in modo da aver tempo non solo per l’invio dell’ultimo, perentorio sollecito, ma anche per l’avvio della procedura, con il deposito del ricorso, ove l’assemblea che avrà approvato il bilancio non abbia anche espressamente dispensato dall’azione.

La possibile deroga assembleare

L’obbligo dell’Amministratore ha una eccezione: salvo che sia stato espressamente dispensato dall’Assemblea; un’ipotesi frequente è quella del piano di rientro, o può esservi una valutazione di non convenienza delle iniziative di riscossione (in merito alla quale ci si riporta a quanto osservato nel precedente contributo).

Il problema che si pone è come va presa una tale decisione, perchè la norma nulla dice: per alcuni sarebbe richiesta l’unanimità, ma è tesi che renderebbe inapplicabile la previsione; d’altra parte, non essendo prescritta una maggioranza qualificata è da ritenere sufficiente l’ordinaria (in seconda convocazione: approvazione della maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio).

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