PROCEDURA DI MEDIAZIONE – Partecipazione personale delle parti e possibilità di delegare un rappresentante – Principi dettati da Cassazione civile sez. III 27/03/2019 n. 8473 e testo dell’art. 8 D.Lgs. 28/2010 come modificato dalla Riforma Cartabia

Il tema della necessità della partecipazione personale delle parti alla procedura di mediazione, ovvero della possibilità di delegare un rappresentante, era stata oggetto di numerose pronunce di merito che avevano ritenuto non effettivamente svolto il tentativo di conciliazione, e quindi non verificata la condizione di procedibilità, ove le parti non fossero state personalmente presenti (specie in casi nei quali avevano partecipato solo i legali, sulla base di procure ad litem pure menzionanti, come d’uso, espressamente la facoltà di conciliare e transigere).

Si ebbe poi una pronuncia di legittimità: Cassazione civile sez. III 27/03/2019 n. 8473 si pose, per la prima volta, la questione se, nel procedimento di mediazione il cui preventivo esperimento è previsto obbligatoriamente a pena di improcedibilità, la parte che propone la mediazione sia tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore, affinchè il tentativo si possa ritenere compiuto, oppure possa farsi sostituire; e in tal caso, ossia qualora si ammetta che trattasi di attività delegabile, in che modo (le forme, cioè, di tale sostituzione), e da chi (in particolare, se la parte possa farsi sostituire anche dal suo avvocato e, eventualmente, con quale atto tali poteri possano essere a lui conferiti).

Questi i principi di diritto che vennero, allora, enunciati:
– nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal D.Lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore;
– nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purchè dotato di apposita procura sostanziale.

In merito alla apposita procura sostanziale, nella motivazione si legge anche:
Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84). Quindi il potere di sostituire a sè stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale.

Insomma, per Cassazione civile sez. III 27/03/2019 n. 8473:
– la regola è la comparizione personale delle parti, con l’assistenza dei difensori;
– però non può essere precluso alle parti di farsi sostituire da un rappresentante, a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, munito quindi di procura sostanziale (ossia: attributiva del potere di disporre dei diritti sostanziali oggetto della controversia) apposita (ossia: rilasciata specificamente per la partecipazione alla procedura di mediazione),
– nemmeno può essere precluso che il rappresentante sia lo stesso difensore (pur non essendo “auspicato” dalla legge), fermo restando che anche in tale eventualità la procura deve essere sostanziale e apposita (e non è idonea la procura ad litem; nemmeno qualora contienga, come avviene di prassi, la facoltà di conciliare e transigere);
– nulla si afferma, espressamente e precisamente, sulla forma della procura.

A quest’ultimo proposito, ossia della procura di cui deve essere munito l’avvocato da cui la parte intenda farsi sostituire, si legge anche, nella motivazione della pronuncia, che l’avvocato ha il potere di autenticare solo la procura ad litem e non anche la procura sostanziale (assunto condivisibile, in difetto di un potere generale di autentica, e in difetto di una specifica disposizione al riguardo) e che il fatto che la procura all’avvocato sia autenticata da un notaio di per sè non la rende procura sostanziale se il contenuto è quello della procura ad litem (assunto altrettanto condivisibile, ma solo in astratto; in concreto, non si riesce a comprende il concetto di “procura dal valore meramente processuale, che non attribuisce all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte” quando sia “comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia”).
Quello riportato, si badi, è l’unico accenno alla procura notarile.

Con la Riforma Cartabia questi principi di diritto sono rimasti attuali ?

Il nuovo testo dell’art. 8 D.Lgs. 28/2010, Procedimento, contiene una previsione ad hoc, prima non presente.
Prima si prevedeva soltanto, al comma 1, che Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato.
Ora si prevede, invece,
– al comma 4, che:
Le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione.
In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia.
I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia.
Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale.

– al comma 5, che:
Nei casi previsti dall’articolo 5, comma 1 (ossia nelle controversie in cui la mediazione è condizione di procedibilità dell’azione in giudizio, e quindi, come si suole dire, quando la mediazione è obbligatoria per materia), e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati.

La novella conferma espressamente (oltre alla necessità dell’assistenza dell’avvocato nella mediazione obbligatoria e in quella demandata) l’assunto della Cassazione per cui non può escludersi la possibilità per la parte di farsi sostituire all’incontro da un rappresentante a conoscenza dei fatti.

Tuttavia:
– non parla di procura sostanziale apposita, preferendo usare l’epressione che il rappresentante sia munito dei poteri necessari per la composizione della controversia (e stessa formula viene usata per i rappresentanti o delegatI dei soggetti diversi dalle persone fisiche): il che senza alcun dubbio implica una procura sostanziale nel senso di attributiva del potere di disporre dei diritti sostanziali oggetto della controversia (mentre forse non necessariamente implica una procura apposita nel senso del rilasciata specificamente per la partecipazione alla procedura di mediazione);
– postula la allegazione di giustificati motivi (si noti che, propriamente, non si parla di un impedimento, nel senso di una impossibilità; men che meno si parla di un impedimento, o di una impossibilità, necessariamente assoluto, o necessariamente materiale).

Affatto chiaro risulta poi il senso dell’inciso per cui ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale: la necessità di un approfondimento sul potere di rappresentanza potrà conseguire tanto a una eccezione della controparte quanto ad un rilievo d’ufficio, il che pare presuppore una doverosità della verifica da parte del mediatore; l’espressa previsione sul dare atto a verbale dell’esito di questo approfondimento, all’evidenza finalizzata ad una assunzione di responsabilità in capo al dichiarante, potrebbe essere intesa anche nel senso di una sufficienza, della dichiarazione della parte una volta verbalizzata, oltre alla sua obbligatorietà, adombrando così un esonero di responsabilità in capo al mediatore.

La novella, inoltre, non risulta smentire l’assunto della Cassazione per cui non può escludersi che il rappresentante sia lo stesso difensore: operando anche per lui la regola dei necessari poteri, potrebbero farsi le stesse considerazioni sopra accennate, e ritenere superate le opinabili distinzioni contenute nella pronucia sul concetto di “procura dal valore meramente processuale, che non attribuisce all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte” quando sia “comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia”, ma prudenza consiglia di tenere ben distinte, anche formalmente, in documenti separati, la procura ad litem dalla procura per la mediazione.

La novella, infine, non scioglie i dubbi sulla forma della procura che la pronuncia della Cassazione aveva lasciato (come si osservava, nella pur lunga e articolata motivazione nulla si afferma, espressamente e precisamente, a tale riguardo; e se è vero che vi è un accenno alla procura autenticata da notaio, è anche vero che viene fatto solo dire che tale autentica di per sè non rende procura sostanziale la procura ad litem).

Non si può che far riferimento, allora, alle regole generali.

La regola fondamentale è quella dell’art. 1392 Codice Civile, rubricato Forma delle procura, il quale stabilisce che La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere.

Ma quale è il contratto, nella conciliazione in mediazione ?

Il tipo di contratto più vicino viene da dire che sia la transazione.

La regola, speciale, sarebbe quella dell’art. 1967 Codice Civile, rubricato Prova, il quale stabilisce che La transazione deve essere provata per iscritto, fermo il disposto del n. 12 dell’articolo 1350, il quale a sua volta stabilisce che Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità … 12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti e quindi 1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili; 2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, il diritto del concedente e dell’enfiteuta; 3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti; 4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione; 5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti; 6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico; 7) i contratti di anticresi; 8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni; 9) i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato; 10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie, salve le disposizioni relative alle rendite dello Stato; 11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari.

Per il contratto di transazione, dunque, la prova scritta è richiesta ad substantiam facendosi questione di diritti immobiliari, o ad essi parificati; mentre ad probationem negli altri casi.

A parere di chi scrive l’art. 1392 Codice Civile, Forma della procura, nella questione in esame, ossia relativamente alla forma della procura per partecipare alla procedura di mediazione, va applicato in combinato disposto non tanto con l’art. 1967 Codice Civile, Prova della transazione, quanto con l’art. 1350 Codice Civile, Atti che devono farsi per iscritto.

La procedura di mediazione ha per fine, precipuo e auspicato, l’accordo di conciliazione: un atto negoziale avente sostanza di transazione ma forma di documento, essendo stabilito dall’art. 11 D.Lgs. 28/2010, Conclusione del procedimento, al comma 1, che Se è raggiunto un accordo di conciliazione, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo.

Prevedendosi appunto un processo verbale e un testo allegato, l’accordo di conciliazione in sede di mediazione è atto che richiede la forma scritta ad substantiam: quindi anche la procura per esso richiede la forma scritta ad substantiam (mai, dunque, solo ad probationem).

La forma scritta, d’altra parte, facendosi questione di diritti immobiliari, o ad essi parificati, per l’art. 1350 Codice Civile è non solo necessaria, ma anche sufficiente, quanto a validità ed efficacia: gli atti dell’elenco devono farsi, sotto pena di nullità, per atto pubblico o per scrittura privata (si tratta di un aspetto rientrante nel novero delle nozioni istituzionali, però spesso dimenticato o travisato).

Ad esempio, i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, che costituiscono o modificano il diritto di usufrutto su beni immobili o le servitù prediali, cosi come i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni etc etc, pur essendo senza dubbio da preferirsi per essi la stipula con l’atto pubblico ovvero la scrittura privata autenticata, in quanto sic et simpliciter trascrivibile, nondimeno sono validi ed efficaci anche se conclusi mediante scrittura privata; altro piano, come ovvio, pur importantissimo, è quello degli effetti di cui al regime di pubblicità immobiliare, secondo le regole di cui al principio di continuità ed ai criteri di prevalenza.

Ove le parti vogliano, opportunamente, poter trascrivere l’accordo di conciliazione avente per oggetto diritti immobiliari, o ad essi parificati, andrà applicata dal mediatore la previsione procedurale di cui all’art. 11 D.Lgs. 28/2010, comma 7, primo periodo, per cui Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione dell’accordo di conciliazione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato; ed in tal caso va da sè che le parti dovranno intervenire personalmente o tramite un rappresentante che per il pubblico ufficiale, in genere un notaio, dovrà essere munito di procura, in tal caso, allora sì altrettanto autenticata.

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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8473 Anno 2019
Presidente Dott. AMENDOLA Adelaide
Relatore Dott. RUBINO Lina
Data pubblicazione: 27/03/2019

I FATTI DI CAUSA

1. Il giudizio di primo grado.
Nel 2016 G* S.r.l. depositò dinanzi al Tribunale di Udine ricorso ex art. 447-bis c.p.c., rappresentando di aver concesso in locazione un’unità immobiliare sita in Tavagnacco (UD) a E* S.r.l. e chiedendo la risoluzione del contratto per mancata prestazione del deposito cauzionale, il rilascio dell’immobile e la condanna della controparte alle spese del giudizio. E* si costituì in giudizio, eccependo l’avvenuta costituzione, benchè solo in corso di causa, del deposito cauzionale e l’improcedibilità della domanda per mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche.
Il Giudice assegnò alle parti il termine di 15 giorni per l’avvio della procedura di mediazione D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, con conseguente differimento dell’udienza di discussione.
G* avviava la procedura di mediazione; al primo incontro fissato dall’Organismo di mediazione in data 5/07/2016 parteciparono i soli procuratori delle parti, chiedendo un breve rinvio e successivamente questi comunicavano telefonicamente al mediatore l’impossibilità delle parti di raggiungere un accordo stragiudiziale. Il secondo incontro non ebbe mai luogo (nè si fa riferimento, nel ricorso o nella sentenza, all’esistenza di un verbale di mancata conciliazione).
Alla successiva udienza il difensore di E* eccepì nuovamente l’improcedibilità della domanda promossa dalla ricorrente sul rilievo che nel procedimento di mediazione non fossero comparse le parti personalmente ma solo i difensori, eccezione alla quale G* si oppose.
In sede di precisazione delle conclusioni G*, stante l’avvenuta costituzione (benchè tardiva) del deposito cauzionale ad opera della controparte, rinunciò alla domanda di risoluzione del contratto e insistette soltanto per ottenere la condanna di E* alla rifusione delle spese legali, liquidate in base al principio della soccombenza virtuale.
Il Tribunale dichiarò cessata la materia del contendere, rilevando, in rito, che non si fosse verificata la condizione di procedibilità della domanda di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, con conseguente improcedibilità della domanda attorea. Compensò per intero tra le parti le spese di lite, osservando che “entrambe le domande di parte si sono alfine rivelate inammissibili per ragioni di rito”.

2. L’appello.
Avverso la sentenza n. 1418/2016 del Tribunale di Udine propose appello G*, assumendo che la mediazione obbligatoria si fosse effettivamente svolta, avendo le parti legittimamente partecipato al procedimento di mediazione a mezzo dei rispettivi difensori (in particolare asserì che il difensore di G* fosse munito di una procura speciale, conferente tutti i poteri per definire e trattare questioni giudiziali e stragiudiziali, e che pertanto lo stesso fosse dotato di rappresentanza formale e sostanziale) e contestando il capo relativo alle spese. E* si costituì in giudizio.
La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza n. 2010 del 2017 qui impugnata, rigettò l’appello, condannando G* al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.
In particolare, il Giudice d’appello affermava che il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 8, prevede la presenza personale delle parti, assistite dal proprio difensore (in tal senso deponendo l’uso della congiunzione “e”, laddove si precisa che il mediatore “invita le parti e i loro avvocati”), atteso che nel primo incontro informativo il mediatore necessita di contatto diretto con le parti sostanziali, al fine di verificare la fattibilità dell’inizio della procedura di mediazione vera e propria; che pertanto, pur potendo la parte farsi rappresentare dal difensore, non sia sufficiente a tal fine una semplice procura speciale alle liti rilasciata ex art. 185 c.p.c., contenente i poteri di transigere e conciliare la lite, trattandosi di procura con valenza processuale e non sostanziale, essendo necessaria una procura speciale notarile che conferisca al difensore la rappresentanza sostanziale della parte; che nel caso di specie peraltro, a prescindere dalla partecipazione personale delle parti, dovesse ritenersi che la mediazione non fosse mai iniziata essendovi stato un primo incontro informativo e preliminare, senza discussione di alcuna questione relativa alla controversia, alla sola presenza degli avvocati, mentre all’incontro successivo fissato al 18/07/2016 per lo svolgimento della mediazione in senso stretto nessuna delle parti si era presentata.

3. Il giudizio di legittimità.
Avverso la sentenza n. 210/2017 della Corte d’appello di Trieste, pubblicata in data 25/05/2017, propone ricorso per Cassazione, con due motivi, G* S.r.l.
E* S.r.l. non ha svolto in questa sede attività difensiva.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 5 e 8 e successive modifiche, nonchè degli artt. 185 e 83 c.p.c. Sostiene che la Corte d’appello, soffermandosi sul solo elemento testuale, abbia stravolto la finalità del tentativo di mediazione previsto a pena di improcedibilità della domanda giudiziale dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 8; e che tale articolo non preveda un obbligo di partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione al fine di potersi ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, prevedendo solo che la parte debba essere idoneamente informata sulla possibilità, o necessità, a seconda dei casi, di ricorrere alla procedura di mediazione e sulle agevolazioni fiscali che ne derivano, e che possa consapevolmente scegliere di delegare tale adempimento al proprio avvocato.
Aggiunge che se effettivamente la norma imponesse la presenza personale di entrambe le parti, il convenuto sarebbe arbitro di decidere se e quando consentire il perfezionamento della condizione di procedibilità, potendo lo stesso farsi rappresentare dal proprio difensore anzichè presentarsi personalmente.
Evidenzia che, se la sanzione prevista per il comportamento più grave della mancata partecipazione senza giustificato motivo è, D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 8, la condanna al pagamento del contributo unificato e la possibilità per il Giudice di trarre argomenti di prova dal suddetto comportamento, non potrebbe essere sanzionata con la più grave pena dell’improcedibilità la condotta più lieve della mancata comparizione personale.
Deduce che la Corte d’appello finisca per avallare la tesi da essa stessa respinta laddove afferma che al primo incontro siano comparsi i soli difensori, ma al contempo sostiene (usando peraltro le stesse parole del verbale di intermediazione del 05/07/2016) che “le parti” dichiarano di voler procedere con la mediazione (ciò significando, infatti, che gli avvocati abbiano agito in rappresentanza delle parti); e che non si capisca perchè al primo incontro la procedura di mediazione abbia potuto prendere avvio senza la presenza materiale di G* ed E* ma al successivo incontro fosse necessaria la loro presenza per poter dare atto dell’esito negativo del procedimento ex D.Lgs. n. 28 del 2010.
La ricorrente contesta inoltre l’individuazione della fonte normativa della procura rilasciata al proprio avvocato nell’art. 185 c.p.c. rubricato “Tentativo di conciliazione” anzichè nell’art. 83 c.p.c.
Lamenta infine che, seguendo la tesi ex adverso propugnata, la Corte d’appello avrebbe potuto disporre essa stessa, ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010, l’esperimento della mediazione ex lege.
Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), l’omesso esame di un fatto decisivo indicato nella procura speciale alle liti, il cui testo non riproduce, ma che indica come prodotta nel giudizio di cassazione come allegato al ricorso, al n. 5.
La ricorrente deduce che il difensore di G*, in virtù della procura speciale notarile rilasciata allo stesso e depositata in giudizio, avesse non solo ricevuto procura per rappresentare G* in giudizio, ma gli fossero stati conferiti tutti i poteri di disporre dei diritti materiali di G* oggetto della causa, anche nelle procedure stragiudiziali qual è quella di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010 e quindi che fosse non solo una procura processuale ma contenesse anche il conferimento di poteri sostanziali e che pertanto l’avvocato, munito di una tale procura, fosse legittimato a sostituire la parte nel procedimento di mediazione obbligatoria. Al terzo punto del ricorso, la ricorrente, ad evitare che sulla questione si formi il giudicato, ripropone, fidando nell’accoglimento dei due precedenti motivi, la domanda di condanna alle spese del giudizio di appello dell’avversaria, sulla base della soccombenza virtuale della stessa, con eventuale esame della stessa da parte del giudice del rinvio.
Il ricorso pone per la prima volta a questa Corte la necessità di affrontare alcune questioni in tema di mediazione obbligatoria, introdotta come condizione di procedibilità di una vasta serie di controversie dal D.Lgs. n. 28 del 2010 (Attuazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) e successive modifiche.
In particolare, la questione giuridica che il ricorso impone di risolvere è se, nel suddetto procedimento di mediazione, il cui preventivo esperimento è previsto obbligatoriamente, a pena di improcedibilità, per le controversie nelle materie indicate dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, (introdotto dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 84, convertito con modificazioni della L. 9 agosto 2013, n. 98, dopo che la Corte Cost. con sentenza n. 272 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 del medesimo articolo) e disciplinato, in particolare, dagli artt. 5 e 8 dello stesso, la parte che propone la mediazione sia tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore, affinchè il tentativo si possa ritenere compiuto, a pena di improcedibilità dell’azione proposta senza previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, o se la stessa possa – e in che modo – farsi sostituire.
Qualora si ammetta che la parte possa farsi sostituire, ovvero che sia un atto delegabile ad altri, occorre individuare i modi e le forme di tale sostituzione, ovvero se possa essere sostituita da chiunque, ed in particolare se possa farsi sostituire anche dal suo avvocato e, qualora si ammetta che possa essere sostituita dal suo avvocato, con quale atto tali poteri possano essere conferiti.

Il legislatore con il decreto legislativo menzionato ha cercato di accelerare, se non forzare, la creazione di una cultura di risoluzione alternativa delle controversie, con finalità deflattiva, imponendo per una vasta serie di controversie questa ipotesi di mediazione come obbligatoria, il cui mancato esperimento è stato sanzionato con l’improcedibilità. Dalla lettura delle disposizioni ad essa dedicate, emerge l’adozione di un procedimento deformalizzato che si svolge davanti al mediatore, in cui la miglior garanzia di riuscita era costituita innanzitutto dalla stessa professionalizzazione delle figura del mediatore, e dall’offerta alle parti di un momento di incontro, perchè potessero liberamente discutere prima che le rispettive posizioni risultassero irrigidite dalle posizioni processuali assunte e dalle linee difensive adottate, nonchè da agevolazioni fiscali. Il successo dell’attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l’acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali.
Quanto alla presenza dell’avvocato, essa originariamente non era neppure prevista; è stata infatti introdotta nell’art. 5 dal comma 1 bis, che prevede che chi intenda esercitare l’azione debba promuovere preventivamente la mediazione obbligatoria assistito dal proprio avvocato. Si può osservare che la novella del 2013, che introduce la presenza necessaria dell’avvocato, con l’affiancare all’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la parte nel processo, l’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate.
Non è questa la sede per valutare le probabilità di successo delle creazione forzosa di una cultura della mediazione. Occorre prendere atto che la legge impone in una vasta serie di casi, come momento necessario e significativo precedente alla possibilità stessa di introdurre il giudizio, la necessità di esperire la mediazione e sciogliere alcuni nodi del rapporto tra mediazione obbligatoria e giudizio, per individuare quando la condizione di procedibilità possa ritenersi soddisfatta e in particolare se, nel caso di specie, il giudice abbia correttamente ritenuto che l’azione proposta fosse improcedibile (valutazione effettuata ai soli fini della soccombenza virtuale, perchè qui la domanda di merito era stata alla fine rinunciata).
Come si è detto, il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, perchè solo nel dialogo informale e diretto tra parti e mediatore, conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti.
Ha imposto quindi alle parti (o meglio, alla parte che intende agire in giudizio) questo impegno preliminare mediante il quale fida di poter evitare (alle parti, e allo Stato più in generale) un buon numero di controversie, ben più onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria.
L’art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati.
La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato.
Tuttavia, la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri.

Laddove, per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l’attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la legge non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art. 231 c.p.c., sulla risposta all’interrogatorio formale: “La parte interrogata deve rispondere personalmente” e il successivo art. 232 che fa discendere precise conseguenze alla mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio): v. Cass. n. 15195 del 2000: “L’interrogatorio formale non può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all’art. 231 c.p.c..
Non è previsto, nè escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore.
Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche ma non solo – dal suo difensore.

Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84). Quindi il potere di sostituire a sè stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale.
Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benchè possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale.
Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perchè il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore.
Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista.

Ciò detto, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile laddove tendente ad una diretta interpretazione dell’atto (la procura) da parte della Corte.
La sentenza impugnata si è attenuta infatti ai principi di diritto sopra enunciati.
Ha ritenuto che la presenza della parte sia necessaria davanti al mediatore, e che tuttavia essa potesse essere sostituita, eventualmente anche dall’avvocato.
Ha del pari ritenuto, esaminando la procura notarile rilasciata in favore dell’avvocato O* ed oggi prodotta in allegato al ricorso per cassazione, che l’atto di conferimento di potere pur avendo la forma della procura notarile fosse in realtà una semplice, benchè ampia, procura alle liti, comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia (da qui il richiamo corretto all’art. 185 c.p.c.), ma comunque una procura dal valore meramente processuale, che non attribuiva all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte.

C’è poi un altro passaggio motivazionale che merita attenzione.
Lo stesso non è direttamente censurato e quindi, di per sè avrebbe potuto condurre al rigetto del ricorso in quanto la decisione poteva fondarsi su tale autonoma ratio decidendi non impugnata.
Esso consente di esaminare e sciogliere un altro degli interrogativi che la nuova disciplina pone, e dei punti in cui si stanno registrando orientamenti non convergenti nelle ormai numerose sentenze di merito che si sono già occupate della mediazione obbligatoria.
La corte d’appello ha ritenuto che, non essendosi le parti presentate al primo incontro, solamente informativo e preliminare, che si era svolto alla presenza dei soli avvocati, e non avendo mai avuto luogo il secondo incontro, perchè le parti avevano comunicato preventivamente e oralmente al mediatore, a mezzo dei rispettivi avvocati, l’impossibilità di pervenire ad un accordo, la mediazione di fatto non si fosse svolta. Ha ritenuto, di conseguenza (ai limitati fini della soccombenza virtuale) che la condizione di procedibilità non si fosse verificata.
La seconda questione da risolvere è dunque quella del quando: quando si può ritenere che il tentativo di mediazione obbligatoria sia utilmente concluso, ai fini di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità? E’ sufficiente che le parti compaiano, assistite dai loro avvocati, per il primo incontro davanti al mediatore o è necessario che si dia effettivo corso alla mediazione. In altri termini, è sufficiente che il futuro attore (o l’attuale attore, come nel nostro caso, qualora le parti siano stata rimesse in mediazione dal giudice, a causa già iniziata) sia fisicamente presente, in proprio o delegando la presenza ad altra persona, e possa, finite la formalità preliminari illustrative delle finalità e delle modalità della mediazione, limitarsi comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione, o è necessario che la mediazione sia “effettiva”, che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva?
Sia l’argomento letterale – il testo dell’art. 8 – che l’argomento sistematico la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l’onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione.
In questo senso depongono sia la struttura del procedimento, disciplinata dall’art. 8 e suddivisa in un primo incontro preliminare davanti al mediatore (“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”) e in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento della mediazione. Solo se le parti gli danno il via per procedere alla successiva fase di discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti si arresterà alla fase preliminare (all’esito della quale sono dovute solo le spese, e non anche il compenso del mediatore).
Non andrà in ogni caso avanti, dando atto dell’esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non compare, o se compare e dichiara di non essere interessato alla mediazione. Di questo comportamento si potrà eventualmente tenere conto nel successivo giudizio, come prevede il comma 4 bis dell’art. 8 (“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’art. 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”).
Se anche il convenuto compare ed è l’attore che dichiara di non intendere impegnarsi nella mediazione deve ritenersi che il mediatore debba prenderne atto e che l’attività si concluda anche in questo caso al termine dell’incontro preliminare, che la mediazione sia stata esperita e che abbia dato esito negativo, e che quindi la condizione di procedibilità sia soddisfatta.
Quindi, è richiesta l’attivazione del procedimento di mediazione, la scelta del mediatore, la convocazione della controparte; è richiesta oltre la comparizione personale davanti al mediatore (con le possibilità alternative sopra enunciate)e la partecipazione al primo incontro, nel corso del quale la parte riottosa può liberamente convincersi di provare effettivamente e fino in fondo la strada della soluzione alternativa alla controversia. Non può invece ritenersi che al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità sia necessario pretendere dalla parte anche un impegno in positivo ad impegnarsi in una discussione alternativa rispetto al giudizio.
Non costituisce per contro idonea modalità di svolgimento della mediazione la mera comunicazione di aver sondato l’altra parte ed avere concordemente escluso la possibilità di addivenire ad un accordo, perchè in questo modo si elude l’onere di comparire personalmente davanti al mediatore e di partecipare al primo incontro.
Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto che non si sia arrivati neppure a questa fase, perchè le parti non sono mai comparse, personalmente o idoneamente rappresentate, davanti al mediatore, tant’è che non è stato neppure redatto un verbale negativo.
Il ricorso va complessivamente rigettato. I principi di diritto enunciati possono essere riepilogati come segue:
– nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal D.Lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore;
– nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purchè dotato di apposita procura sostanziale;
– la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata alla termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.
Nulla sulle spese, in difetto di attività processuale da parte dell’intimata.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 6 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2019