PROCEDURA DI MEDIAZIONE – La questione dei costi – L’affermazione di costituzionalità della scelta legislativa tra diverse ADR (Corte Costituzionale 18/04/2019 n. 97) e il nuovo regime post Riforma Cartabia (art. 28 D.M. 150/2023)

image_print

La procedura di mediazione “obbligatoria”, nel senso che in alcune materie è condizione di procedibilità dell’azione dinanzi all’autorità giudiziaria (qui l’elenco, anche con il confronto dei casi in cui è condizione di procedibilità dell’azione, invece, la procedura di negoziazione assistita), ha avuto nel nostro ordinamento, come noto, vita tribolata.

Venne introdotta nel nostro ordinamento ancora nel 2010 (con il Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali).

L’obbligatorietà venne dichiarata incostituzionale nel 2012 (con la sentenza Corte Costituzionale 06/12/2012 n. 272),

Venne reintrodotta, con alcune modifiche, nel 2013 (con il Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98)

Tra queste modifiche spiccava quella della distinzione tra un primo incontro, in sè sufficiente ai fini del maturare della condizione di procedibilità, per il quale si pagavano solo delle spese di segreteria (nella prassi degli Organismi: Euro 45,00 più i.v.a., che diventavano Euro 48,80), e un eventuale prosieguo, conseguente ad una consapevole scelta rimessa ad entrambe le parti, con la vera e propria attività di mediazione, per il quale si pagava un compenso al mediatore.

Molti pensano che questa distinzione, all’evidenza finalizzata a rendere il costo della procedura di mediazione quasi trascurabile in caso di solo primo incontro con esito negativo, conseguisse all’intervento caducatorio della Consulta, ma non è proprio così: i dubbi di costituzionalità avevano per oggetto anche i costi, quale limite di accesso alla giurisdizione e quindi in possibile contrasto con l’art. 24 Cost. (per il quale Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento), tuttavia la declaratoria di incostituzionalitò fu pronunciata esclusivamente per una ragione formale, di eccesso di delega.

La questione dei costi era sottesa, anche se non oggetto principale, di alcune questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Verona, che aveva dedotto una ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento nella scelta del legislatore di imporre quale condizione di procedibilità in alcune materie la procedura di negoziazione assistita (comportante per le parti solo l’obbligo di retribuire i propri avvocati) e in altre quella di mediazione (comportante per le parti l’obbligo di retribuire non solo i propri avvocati ma anche il mediatore).

La Consulta ritenne infondata la questione di costituzionalità con una pronuncia (la sentenza Corte Costituzionale 18/04/2019 n. 97, infra riprodotta) che merita rileggere, per le autorevolissime affermazioni sul tratto differenziale rispetto alla negoziazione assistita della mediazione, proprio per il ruolo svolto dal mediatore.

La Riforma Cartabia ha eliminato, nel primo incontro, quella distinzione.

Il precedente testo dell’art. 8 del D.Lgs. 28/2010 prevedeva, al comma 1, che Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.

L’attuale testo dell’art. 8 del D.Lgs. 28/2010 prevede, al comma 6, soltanto che Al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione (non senza precisare che sin da allora Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse).
All’art. 17 si prevede poi
non solo, al comma 3, che Ciascuna parte, al momento della presentazione della domanda di mediazione o al momento dell’adesione, corrisponde all’organismo, oltre alle spese documentate, un importo a titolo di indennità comprendente le spese di avvio e le spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro e che Quando la mediazione si conclude senza l’accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori,
ma anche, al comma 4, che Il regolamento dell’organismo di mediazione indica le ulteriori spese di mediazione dovute dalle parti per la conclusione dell’accordo di conciliazione e per gli incontri successivi al primo.

Ergo:
– il primo incontro è già incontro di mediazione;
– oltre alle spese documentate, è comunque dovuto un importo a titolo di indennità comprendente le spese di avvio e le spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro;
quando la mediazione si conclude senza l’accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori;
– diversamente (e quindi sia nel caso che al primo incontro si raggiunga un accordo; sia nel caso che al primo incontro ne seguano altri, raggiungendo o meno in essi accordo), le parti sono tenute a corrispondere importi ulteriori.

Il nuovo decreto attuativo (D.M. 150/23, testo integrale anche qui) ha previsto, all’art. 28, che:
1. Per il primo incontro le parti sono tenute a versare all’organismo di mediazione un importo a titolo di indennità, oltre alle spese vive.
2. L’indennità comprende le spese di avvio del procedimento di mediazione e le spese di mediazione comprendenti il compenso del mediatore previste dai commi 4 e 5.
3. Sono altresì dovute e versate le spese vive, diverse dalle spese di avvio, costituite dagli esborsi documentati effettuati dall’organismo per la convocazione delle parti, per la sottoscrizione digitale dei verbali e degli accordi quando la parte è priva di propria firma digitale e per il rilascio delle copie dei documenti previsti dall’articolo 16, comma 4.
4. Sono dovuti e versati a titolo di spese di avvio i seguenti importi:
€ 40,00 per le liti di valore sino a € 1.000,00;
€ 75,00 per le liti di valore da € 1.000,01 sino a € 50.000,00;
€ 110,00 per le liti di valore superiore a € 50.000,00 e indeterminato;
5. Sono dovuti a titolo di spese di mediazione i seguenti importi:
€ 60,00 per le liti di valore non superiore a € 1.000 e per le cause di valore indeterminabile basso;
€ 120,00 per le liti di valore da € 1.000,01 sino a € 50.000,00, e per le cause di valore indeterminabile medio;
€ 170,00 per le liti di valore superiore a € 50.000,00, e per le cause di valore indeterminabile alto.
6. Quando il primo incontro si conclude senza la conciliazione e il procedimento non prosegue con incontri successivi sono dovuti esclusivamente gli importi di cui ai commi 4 e 5.
7. Quando il primo incontro si conclude con la conciliazione sono altresì dovute le ulteriori spese di mediazione calcolate in conformità all’articolo 30, comma 1.
8. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo o quando è demandata dal giudice, l’indennità di mediazione, determinata ai sensi dei commi 4 e 5, e’ ridotta di un quinto, e sono ridotte di un quinto le ulteriori spese di mediazione determinate ai sensi del comma 7.

In buona sostanza, per il primo incontro senza accordo se la mediazione è obbligatoria, ovvero demandata (e quindi applicandosi la riduzione di 1/5), saranno dovuti da ciascuna parte:
– le spese vive
– una indennità per spese di avvio (art. 28 comma 4) e una indennità per spese di mediazione (art. 28 comma 5) che, complessivamente, i.v.a. compresa, ammonteranno a € 97,60 con valore fino a € 1.000,00, a € 190,32 con valore da € 1.000,01 a € 50.000,00, e ad € 273,28 con valore oltre € 50.000,01 (vedasi, ad esempio, le nuove tariffe dell’Organismo di Mediazione Forense di Pordenone, scaricabili dal sito istituzionale).

In caso invece di primo incontro con accordo, o di incontri successivi al primo, con accordo o senza accordo, matura il compenso ulteriore, diremmo vero e proprio (e di entità effettivamente più tangibile).

Tornando però all’ipotesi, quando la mediazione è obbligatoria, ovvero demandata, di primo incontro senza accordo, rispetto al regime ante Riforma Cartabia (quello degli “€ 48,80”, per intenderci) , al di là delle questioni nominalistiche (tra “spese” e “indennità”, l’impatto concreto appare non epocale.

Ciò nonostante, in questo contesto si segnala una nuova presa di posizione del Tribunale di Verona, stesso Giudice Unico che aveva sollevato le questoni di costituzionalità sopra accennate.

Non si tratta più, però, di rimessioni alla Corte Costituzionale; con l’ordinanza 24/11/2023, infra riprodotta, viene disapplicato l’art. 5, comma 1, d. lgs. 28/2010, e quindi la relativa condizione di procedibilità, essendo fonte, sia pure indiretta, di costi non contenuti per le parti, e ciò, per il Giudice Unico del Tribunale di Verona, in quanto in contrasto con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (per il quale Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo, Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, e Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare).

* * *

Foto di Pexels da Pixabay

Corte Costituzionale, Sentenza 97/2019
Presidente: LATTANZI
Redattore: ANTONINI
Camera di Consiglio del 06/03/2019
Decisione del 07/03/2019

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza iscritta al n. 62 r.o. 2018, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato – in riferimento agli art. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera i), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), nonché del comma 2 del medesimo art. 84.
2.- Il rimettente premette di essere chiamato a decidere la controversia instaurata da una società a responsabilità limitata nei confronti di una banca per ottenere l’accertamento della nullità, per difetto della forma scritta, di un contratto di conto corrente e di «due contratti di apertura di conto corrente», nonché la condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite, nel corso dei rapporti originati da tali contratti, a titolo di interessi usurari e di commissione di massimo scoperto.
Quindi, il giudice a quo riferisce che la parte attrice ha attivato vanamente, prima della instaurazione della controversia, il procedimento di mediazione previsto quale condizione di procedibilità della domanda dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, non avendovi la convenuta partecipato.
Dopo avere precisato che la causa oggetto del processo principale è «giunta a decisione», il Tribunale ordinario di Verona osserva che la mancata partecipazione al procedimento di mediazione non sarebbe sorretta da giustificato motivo, non essendo questo ravvisabile nelle ragioni, specificamente indicate nell’ordinanza di rimessione, addotte dalla società convenuta al fine di legittimare il proprio comportamento omissivo: essa, pertanto, ai sensi dell’art. 8, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2010, dovrebbe essere condannata, anche d’ufficio e a prescindere dalla sua eventuale soccombenza, al versamento, in favore dello Stato, di un importo corrispondente a quello del contributo unificato dovuto per il giudizio.
2.1.- In ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il giudice rimettente ricorda, anzitutto, che il comma 4-bis è stato aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013.
Quindi, sostiene che il secondo periodo del citato comma 4-bis – a mente del quale «[i]l giudice condanna la parte costituita che […] non ha partecipato al procedimento [preliminare di mediazione] senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio» – violerebbe l’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto dei requisiti di necessità e d’urgenza.
Al riguardo, il rimettente – richiamato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale sui presupposti della decretazione d’urgenza – premette che questa Corte avrebbe anche precisato che l’urgente necessità di provvedere in via legislativa presupporrebbe la «intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico»: i requisiti cui è subordinata la legittimità dell’adozione del decreto-legge potrebbero, pertanto, anche riguardare una pluralità di norme, purché queste siano, tuttavia, accomunate, sul piano obiettivo, «dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate», ovvero, sul piano teleologico, in caso di interventi eterogenei afferenti a materie diverse, «dall’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare» (viene richiamata la sentenza n. 22 del 2012).
Ad avviso del giudice a quo, peraltro, la «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge sarebbe vanificata ove, come nel caso in esame, esse non abbiano «il medesimo termine di efficacia».
Fatte tali premesse, il Tribunale di Verona evidenzia come l’entrata in vigore delle disposizioni dettate dall’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 sia stata differita, dal successivo comma 2, al decorso «di trenta giorni rispetto al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale» (recte: rispetto al momento della entrata in vigore della legge di conversione del d.l.): questo differimento rappresenterebbe un elemento sintomatico della «manifesta insussistenza», nel caso di specie, dei requisiti di necessità e d’urgenza, tanto più in considerazione della distonia con la diversa scelta di attribuire, invece, efficacia immediata alle altre norme contenute nel medesimo decreto-legge.
Del resto, prosegue il giudice rimettente, la posticipazione in parola contrasterebbe anche con l’art. 15, comma 3, della legge 22 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), che, nella parte in cui stabilisce che i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione, espliciterebbe «ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa» di tali provvedimenti normativi.
2.1.1.- Il giudice a quo ritiene, inoltre, che l’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013 – che, come detto, ha procrastinato l’applicabilità delle disposizioni di cui al precedente comma 1 al decorso di trenta giorni «[…] dall’entrata in vigore della legge di conversione[…]» – recherebbe un vulnus all’art. 3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza.
A suo parere, la scelta, operata con la norma censurata, di differire l’efficacia delle disposizioni dettate dal precedente comma 1, peraltro difforme da quella adottata per le altre norme del medesimo d.l. aventi «la stessa finalità di contribuire a rendere maggiormente efficiente il sistema giudiziario», sarebbe, difatti, «immotivata e priva di una ragione logica».
3.- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili e, comunque, infondate.
3.1.- L’eccezione preliminare d’inammissibilità è basata, innanzitutto, sulla asserita erroneità di una delle argomentazioni addotte dal Tribunale rimettente.
Contrariamente a quanto da esso sostenuto, infatti, a mente dell’art. 86 del d.l. n. 69 del 2013, le disposizioni poste dall’art. 84, comma 1, sarebbero entrate in vigore, come del resto tutte le altre norme contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, mentre ne sarebbe stata posticipata soltanto l’efficacia: il legislatore avrebbe, pertanto, disposto «semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]» contenute nel d.l.
3.1.1.- Sotto altro profilo, la difesa statale ritiene che sia inammissibile la questione, avente ad oggetto l’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
L’irragionevolezza della norma censurata sarebbe stata, infatti, dedotta in maniera apodittica, essendosi il giudice a quo in sostanza limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere procrastinata l’applicabilità di alcune disposizioni, senza illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe illogica.
In proposito, l’Avvocatura generale osserva altresì che le ragioni dell’evidenziato differimento, la cui valutazione è d’altro canto rimessa al discrezionale apprezzamento del legislatore, sarebbero ravvisabili, per un verso, in «comprensibili problemi organizzativi»; per altro verso, nella necessità, correlata alla natura sanzionatoria della condanna conseguente alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione, che le parti siano tempestivamente rese edotte degli obblighi su di esse incombenti.
Del resto, prosegue la difesa statale, il Tribunale rimettente avrebbe trascurato di rilevare che il legislatore non avrebbe posticipato l’efficacia soltanto dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, ma anche di altre norme contenute nel medesimo decreto-legge.
3.2.- Ad avviso dell’interveniente, le questioni di legittimità costituzionale sarebbero, in ogni caso, prive di fondamento.
La non immediata applicabilità delle disposizioni recate dal comma 1 dell’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013 non sarebbe, infatti, sufficiente, da sola, a rendere evidentemente insussistenti i presupposti, richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., della straordinaria necessità e urgenza, tanto più in considerazione della breve durata di tale dilazione e della sua riconducibilità a ragionevoli motivi.
3.2.1.- Quanto, invece, al vulnus asseritamente arrecato all’art. 3 Cost. dall’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, la difesa statale richiama le considerazioni, dianzi illustrate, svolte in punto di ammissibilità con riguardo a tale parametro, le quali sarebbero idonee a disvelare anche l’insussistenza della denunciata irragionevolezza.
In proposito, essa evidenzia, inoltre, come la particolarità dei precetti normativi contenuti del decreto-legge in parola e le esigenze a essi sottese giustifichino e rendano razionale la scelta di prevedere differenti termini di applicabilità.
4.- Con successiva ordinanza n. 98 del 23 febbraio 2018, il Tribunale di Verona ha sollevato – in riferimento agli art. 3 e 77, secondo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, che ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nonché dell’art. 84, comma 2, del medesimo decreto-legge.
In via subordinata, ha, inoltre, censurato – in riferimento all’art. 3 Cost. – anche l’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010.
4.1.- In punto di rilevanza, il giudice a quo premette di essere chiamato a decidere, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto stesso, avente ad oggetto un credito derivante da un contratto di anticipazione bancaria e ottenuto da una banca nei confronti di una società a responsabilità limitata e della sua garante.
Il rimettente precisa, inoltre, che, una volta assunta la decisione in merito alla suddetta richiesta, egli dovrebbe assegnare alle parti un termine di quindici giorni per intraprendere il procedimento di mediazione. Secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, infatti, la mediazione – cui la controversia sarebbe assoggettata, ratione materiae, ai sensi del precedente art. 5, comma 1-bis -, benché non obbligatoria nella fase monitoria, tornerebbe ad essere tale nell’eventuale giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dopo la pronuncia del giudice sulle istanze di concessione o di sospensione della sua provvisoria esecuzione.
4.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente – dopo aver rilevato che l’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013 ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 – sostiene che tale norma recherebbe un vulnus all’art. 77, secondo comma, Cost. per carenza dei requisiti di necessità e d’urgenza.
Ciò sulla scorta di argomentazioni pressoché identiche a quelle, dianzi descritte, addotte a sostegno della questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013.
4.2.1.- Ad avviso del giudice a quo, inoltre, l’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013 contrasterebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
Anche in relazione a tale censura, vengono spesi argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli illustrati in precedenza.
4.2.2.- In via subordinata, il Tribunale ordinario di Verona dubita, infine, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza.
La compromissione di tale principio emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, introdotta dall’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162.
Anche tale istituto – applicabile alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti nonché, fuori da questa ipotesi e da quelle di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, alle domande aventi ad oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro e in seguito esteso alle controversie «in materia di contratto di trasporto o di sub-trasporto» dall’art. 1, comma 249, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» – costituirebbe, infatti, come la mediazione civile, una condizione di procedibilità.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettera a), «della legge n. 162/2014» (recte: del d.l. n. 132 del 2014, convertito nella legge n. 162 del 2014), nei procedimenti per ingiunzione la negoziazione assistita non sarebbe obbligatoria né nella fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché non applicabile alle domande proposte in via monitoria, dovrebbe essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.
Tenuto conto dell’analoga funzione svolta sia dalla mediazione che dalla negoziazione assistita, la diversa disciplina appena descritta sarebbe, ad avviso del giudice a quo, del tutto ingiustificata e, conseguentemente, manifestamente irragionevole.
5.- Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, manifestamente infondate.
5.1.- Quanto alle censure aventi ad oggetto l’art. 84, commi 1, lettera b), e 2, del d.l. n. 69 del 2013, la difesa dello Stato è basata su argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle sostenute con riguardo alle medesime questioni, prima considerate, oggetto del giudizio incidentale iscritto al n. 62 del registro ordinanze 2018.
5.2.- In relazione, invece, alla questione di legittimità costituzionale che investe l’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, l’Avvocatura generale anzitutto ne eccepisce l’inammissibilità per difetto di rilevanza o, comunque, per difetto di motivazione su di essa: il rimettente non avrebbe, infatti, indicato il valore della causa sottoposta alla sua cognizione, sicché non sarebbe dato comprendere se nella fattispecie concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma, evocata quale tertium comparationis, che disciplina la negoziazione assistita.
5.2.1.- Nel merito, la difesa statale ritiene insussistente l’asserito vulnus all’art. 3 Cost., dal momento che il procedimento di negoziazione assistita sarebbe basato su presupposti diversi da quelli della mediazione e sorretto da una differente ratio.
Né sarebbe stato, d’altro canto, superato il limite di quella manifesta irragionevolezza che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il legislatore incontra nel disciplinare gli istituti processuali.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale ordinario di Verona, con due distinte ordinanze di cui si è detto in narrativa, solleva – in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – sostanzialmente identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, nonché del comma 2 del medesimo art. 84.
Nella sola ordinanza iscritta al n. 98 r.o. 2018, subordinatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il Tribunale rimettente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost.
2.- In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.- Con la disposizione di cui all’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il legislatore – mosso dalla necessità, cui fa riferimento il preambolo del decreto-legge stesso, di adottare «misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile» finalizzate, unitamente alle altre contestualmente previste, a «dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese» – ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
È stata così reintrodotta nell’ordinamento – dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del citato del d.lgs. n. 28 del 2010 pronunciata da questa Corte, per eccesso di delega, con la sentenza n. 272 del 2012 – la mediazione civile quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali relative a talune materie, tra le quali quella dei contratti bancari oggetto dei giudizi a quibus, specificamente individuate dalla norma.
La parte che intende esercitare in giudizio una delle azioni indicate dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 è, dunque, tenuta preliminarmente a tentare la composizione stragiudiziale della controversia mediante l’esperimento del procedimento disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è affidato ad appositi organismi di mediazione e, al loro interno, ai mediatori. È, infatti, presso l’organismo territorialmente competente che devono essere depositate le istanze di mediazione, ricevute le quali il responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che si deve tenere, nella sede dell’organismo stesso (o nel luogo indicato nel regolamento da esso adottato), entro trenta giorni (artt. 4 e 8 del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, riproduce, invece, la norma – in precedenza espressa dal comma 5 dello stesso art. 8, parimenti dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, con la citata sentenza n. 272 del 2012 – che prevede che il giudice «condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 [del d.lgs. n. 28 del 2010], non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».
3.1.- Tanto la lettera b) dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, quanto il secondo periodo del comma 4-bis aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dalla lettera i) dello stesso art. 84, comma 1, difetterebbero, ad avviso del giudice a quo, «dei requisiti di necessità ed urgenza legittimanti la [loro] adozione con decreto legge», così ledendo l’art. 77, secondo comma, Cost., segnatamente in quanto il successivo comma 2, peraltro anch’esso autonomamente censurato, avrebbe posticipato la loro entrata in vigore di trenta giorni rispetto alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso (recte: rispetto alla data della entrata in vigore della legge di conversione del d.l.).
Il denunciato vulnus si apprezzerebbe, nella prospettiva del rimettente, sotto un duplice profilo.
Il suddetto differimento, infatti, per un verso, sarebbe incompatibile con l’urgenza del provvedere, che presupporrebbe, al contrario, l’immediata applicabilità delle norme dettate dal decreto-legge, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Sotto altro aspetto, determinerebbe la carenza della omogeneità finalistica tra le norme censurate e le altre introdotte dal d.l. n. 69 del 2013, la cui efficacia non sarebbe stata procrastinata.
3.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha in limine sollevato, in entrambi i giudizi, eccezione di inammissibilità delle questioni, in quanto basate su un argomento fallace.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, infatti, le disposizioni di cui all’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 sarebbero entrate in vigore, ai sensi del successivo art. 86, come tutte le altre norme contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana: il legislatore, con il comma 2 dell’art. 84, avrebbe, pertanto, disposto «semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]».
3.2.1.- Le eccezioni non sono pertinenti e non possono essere accolte, dal momento che l’argomentazione su cui riposano non incide sul nucleo fondante la censura formulata, ravvisabile piuttosto nell’asserita necessità che tutte le norme contenute nel decreto-legge abbiano la stessa, immediata efficacia.
3.3.- Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.3.1.- Esse devono essere scrutinate alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «[…] il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato ai casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione» (sentenza n. 99 del 2018).
3.3.2.- Tanto premesso in linea generale, va rilevato che non può condividersi, quanto al primo profilo in cui è articolata la censura, la tesi del rimettente secondo cui l’insussistenza della straordinaria necessità e urgenza sarebbe desumibile dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni censurate.
Al contrario, questa Corte – anche laddove ha ricordato che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, nel prescrivere, tra l’altro, che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost. – ha tuttavia precisato che la necessità di provvedere con urgenza «non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge» (sentenza n. 170 del 2017; nello stesso senso sentenze n. 5 del 2018, n. 236 e n. 16 del 2017).
Mette conto, d’altra parte, osservare che, nel caso di specie, la norma che ha reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione avrebbe evidentemente comportato un significativo incremento delle istanze di accesso al relativo procedimento: la decisione di procrastinarne, peraltro per un periodo contenuto, l’applicabilità è, pertanto, ragionevolmente giustificata dall’impatto che essa avrebbe avuto sul funzionamento degli organismi deputati alla gestione della mediazione stessa.
Del resto, una volta posticipata l’efficacia della mediazione obbligatoria, diviene con riguardo a essa coerente il differimento anche della connessa disciplina, posta dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, delle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al relativo procedimento.
3.3.3. – Nemmeno condivisibile è l’assunto, su cui è basato il secondo profilo in cui è articolata la censura in esame, in forza del quale le disposizioni sottoposte all’odierno scrutinio difetterebbero di coerenza funzionale rispetto alle altre norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 in quanto il legislatore avrebbe differito l’applicabilità solo delle prime.
Dalla «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012) non si può inferire, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, un generale corollario per cui queste dovrebbero tutte necessariamente sottostare al medesimo termine iniziale di efficacia. La omogeneità finalistica che deve connotare le norme introdotte con la decretazione d’urgenza non presuppone, infatti, indefettibilmente l’uniformità di tale termine, ben potendo alcune di esse risultare comunque funzionali all’unico scopo di approntare rimedi urgenti anche là dove ne sia stata procrastinata l’applicabilità.
Il disposto differimento delle norme qui censurate trova del resto fondamento, come poc’anzi osservato, nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla.
Deve quindi ritenersi che esso non abbia compromesso la matrice funzionale unitaria delle disposizioni denunciate, anch’esse finalizzate, unitamente alle altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione dei comuni e urgenti obiettivi – a loro volta preordinati al rilancio dell’economia – del miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile.
Le norme oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si collocano, pertanto, coerentemente all’interno di tale cornice finalistica, risultante dal preambolo e dal Titolo III (Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile) del decreto-legge in cui sono contenute.
D’altro canto, proprio la considerazione delle peculiari conseguenze – differenti rispetto a quelle prodotte dalle altre misure adottate – derivanti dalle disposizioni in parola e prima ricordate concorre a rendere ragionevole la scelta di differirne l’applicabilità.
3.3.4.- Alla luce dei rilievi che precedono, deve escludersi sia l’evidente difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., sia l’esistenza di una disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre contenute nel decreto-legge.
4.- Entrambe le ordinanze di rimessione del Tribunale di Verona reputano, altresì, «immotivata e priva di una ragione logica» la previsione dell’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, che posticipa, come si è visto, di trenta giorni rispetto all’entrata in vigore della legge di conversione l’applicabilità delle disposizioni di cui al precedente comma 1: e la censurano perciò per contrasto con l’art. 3 Cost.
4.1.- In entrambi i giudizi l’Avvocatura generale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, giacché il Tribunale rimettente si sarebbe in sostanza limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere procrastinata l’applicabilità di alcune disposizioni, senza tuttavia adeguatamente illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe illogica.
4.1.1.- Le eccezioni vanno disattese.
Malgrado la obiettiva sinteticità che connota la censura in esame, formulata in maniera pressoché identica in entrambe le ordinanze di rimessione, da una lettura complessiva di queste ultime si evince, infatti, che il giudice a quo, sulla base di un argomento sostanzialmente sovrapponibile a quello sviluppato in merito all’asserita violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., reputa illogica, e perciò in contrasto con l’art. 3 Cost., la decisione di differire l’applicabilità di una norma adottata in sede di decretazione d’urgenza, evidenziando, quale indice sintomatico di tale irragionevolezza, la diversa soluzione prescelta dal legislatore con riguardo ad altre norme contenute nel medesimo testo normativo.
Sulla scorta della considerazione che precede, deve ritenersi assolto l’onere di motivazione che grava sul giudice rimettente.
4.2.- Le questioni, tuttavia, sono inammissibili per altre e diverse ragioni.
Va al riguardo rilevato che il rimettente non motiva in alcun modo sull’applicabilità, nei giudizi pendenti dinanzi a sé, della norma censurata.
Né d’altra parte ciò sarebbe stato possibile: dalle ordinanze di rimessione emerge, infatti, come i processi a quibus siano stati rispettivamente iscritti al ruolo generale degli anni 2014 e 2017; emerge quindi per tabulas che questi sono stati instaurati successivamente al periodo in cui ha prodotto effetti il differimento (trenta giorni dall’entrata in vigore, avvenuta il 21 agosto 2013, della legge di conversione) disposto dalla norma censurata.
Tale disposizione, pertanto, aveva ormai esaurito i propri effetti e di essa il giudice a quo non deve, conseguentemente, fare applicazione, sicché le questioni che la investono sono prive di rilevanza.
5.- In via subordinata, con l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 98 r.o. 2018, il Tribunale rimettente dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude l’obbligatorietà della mediazione, limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti per ingiunzione.
5.1.- Benché tale disposizione non sia indicata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, dalla lettura della sua motivazione si desume con chiarezza come le censure formulate investano anche questa, specificamente nella parte in cui prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.
Deve conseguentemente ritenersi che il presente scrutinio di costituzionalità investa anche l’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, segnatamente laddove prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, per un verso, il «thema decidendum, con riguardo alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione delle ordinanze» (sentenza n. 238 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016; ordinanze n. 169 del 2016 e n. 162 del 2011); per altro verso, sulla base di tale motivazione è «ben possibile circoscrivere l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale ad una parte della disposizione censurata» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2017).
5.2.- Secondo il giudice rimettente, la compromissione del principio di uguaglianza emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della negoziazione assistita da uno o più avvocati, applicabile, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro.
Anche la negoziazione assistita costituirebbe, infatti, come la mediazione, una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, la procedura di negoziazione assistita, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 3, lettera a), del d.l. n. 132 del 2014, non deve essere esperita né nella fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché parimenti non applicabile alle domande proposte in via monitoria, deve essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.
La descritta diversità tra le due discipline, ad avviso del giudice a quo, integrerebbe, come detto, una violazione dell’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento manifestamente irragionevole e in quanto tale incidente anche nell’ambito della disciplina degli istituti processuali.
5.3.- L’Avvocatura generale ha sollevato preliminarmente eccezione d’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza – o, comunque, per difetto di motivazione su di essa – rimarcando l’omessa indicazione, da parte del Tribunale rimettente, del valore della causa oggetto del giudizio a quo, che non consentirebbe di comprendere se nella fattispecie concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma, evocata quale tertium comparationis, che disciplina la negoziazione assistita.
5.3.1.- L’eccezione non è pertinente.
A prescindere dal tertium comparationis, evocato solo quale indice di una rottura della coerenza dell’ordinamento, il giudice a quo è infatti chiamato a decidere, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto stesso, avente ad oggetto un credito derivante da un contratto di anticipazione bancaria. Assunta la decisione in merito a tale richiesta, egli dovrebbe quindi assegnare alle parti il termine per intraprendere il procedimento di mediazione, secondo quanto previsto dal disposto dei commi 1-bis e 4, lettera a), dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
Tanto chiarito, si deve osservare che è ben vero che il rimettente non indica specificamente il valore della causa sottoposta alla sua cognizione, ma è altrettanto vero che ciò è ininfluente, giacché questa ha ad oggetto un contratto bancario: a prescindere dal suo valore, essa rientra quindi, in ogni caso, nel novero di quelle soggette alla mediazione.
Pertanto, ove dovesse essere ritenuta sussistente la dedotta irragionevole disparità di trattamento, con la conseguente espunzione di quella parte della norma censurata da cui deriva l’obbligatorietà della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si espanderebbe la disciplina generale dell’accesso incondizionato alla giurisdizione. È dunque palese che, nonostante l’omissione evidenziata dalla difesa statale, la questione è rilevante, giacché dal suo accoglimento deriverebbe che il giudice rimettente non dovrebbe assegnare il termine per intraprendere il procedimento di mediazione.
Da questo punto di vista, la censura supera il vaglio di ammissibilità.
5.4.- Al pari di quelle già esaminate, neppure essa è, tuttavia, fondata.
5.4.1.- Entrambi gli istituti processuali posti a raffronto sono diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale e sono riconducibili alle «misure di ADR (Alternative Dispute Resolution)» (sentenza n. 77 del 2018). Entrambi, inoltre, costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva.
A fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa di trattare diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le due fattispecie possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria, «questo essendo il parametro di riferimento in materia, tenuto conto che si discute di istituti processuali, nella cui conformazione […] il legislatore fruisce di ampia discrezionalità» (sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017).
5.4.2.- Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.
Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «assumere diritti od obblighi connessi […] con gli affari trattati […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «dichiarazione di imparzialità» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua neutralità (comma 2, lettere a e b).
Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro altresì precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del medesimo d.lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore.
Mentre, dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità.

La lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale. Questa Corte, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in essa, «di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 […], svolga la mediazione», se da un lato «comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica», dall’altro «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso» (sentenza n. 98 del 2014).
L’evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.
5.4.3.- D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il diverso regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale.
Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nellalegge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, sollevate, in riferimento agliartt. 3 e77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2019.

* * *

Foto di Pexels da Pixabay

N.4665/2023 R.G.
Tribunale Ordinario di Verona
PRIMA SEZIONE civile
Il Giudice Dott. Massimo Vaccari
Ha emesso la seguente
ORDINANZA
Nel procedimento ai sensi dell’art. 281-decies c.p.c. promosso da:
(omissis)
A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 23.11.2023
RILEVATO CHE
Prima di esaminare le istanze del resistente (mutamento di rito e autorizzazione alla chiamata del terzo) occorre affrontare la causa sia soggetta a condizione di procedibilità, tenuto conto che la domanda di risarcimento danni avanzata dalla ricorrente, con ricorso depositato il 3 luglio 2023, si fonda sul prospettato inadempimento per negligenza e imperizia del convenuto, di professione avvocato, al contratto di prestazione d’opera professionale (assistenza giudiziale) che egli aveva concluso con la ricorrente in relazione alla controversia meglio descritta in ricorso, mandato di assistenza che gli era stato conferito.
La ricorrente, che si è posta il problema avendo dedicato ad esso un breve paragrafo del ricorso, ha escluso di dover osservare qualsiasi condizione di procedibilità sebbene abbia aggiunto di aver comunque inviato al resistente un invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, che però non ha avuto riscontro.
Contrariamente a tale assunto però la controversia dovrebbe invece ritenersi soggetta a mediazione, alla luce del disposto dell’art. 5, comma 2, del d. lgs. 28/2010, come sostituito dall’art. 7, lett.e) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che ha ampliato, a decorrere dal 30 giugno 2023, il novero delle controversie che devono essere precedute da tale tipo di ADR, inserendovi anche quelle in materia di contratto d’opera, e quindi anche quelle, come la presente, in materia di contratto di prestazione d’opera intellettuale.
E’ opportuno anche chiarire che, se si dovesse arrivare alla predetta conclusione, la circostanza che la ricorrente abbia esperito la negoziazione assistita non la esimerebbe dal soddisfare la condizione di procedibilità poiché tale tipo di Adr non è alternativo alla mediazione per le controversie sopra elencate.
A ben vedere però va ribadito (si vedano sul punto l’ordinanza di questo giudice del 28.9.2017) come la norma in tema di mediazione sopra citata sia in contrasto con i principi fondamentali della Ue, a fortiori a seguito della entrata in vigore, il 15 novembre, del D.M. 24 ottobre 2023, n. 150, che, tra le altre cose, ha elevato gli importi delle spese per la mediazione, determinando un incremento dei complessivi costi che le parti devono sostenere per la mediazione obbligatoria e che, aspetto da non dimenticare, sono comprensivi di quelli per l’assistenza difensiva obbligatoria.
Per comprendere come si giunga a tale conclusione occorre rammentare che la Corte di Giustizia con la sentenza n. 457 del 14 giugno 2017 ha ribadito, in linea con la sentenza Alassini del 18 marzo 2010, quali siano i presupposti per poter ritenere compatibili con il principio comunitario della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le forme di ADR obbligatoria, a prescindere dalla qualità soggettiva delle parti.
La Corte di Giustizia ha infatti affermato che un simile giudizio di compatibilità può essere espresso qualora la procedura soddisfi congiuntamente tutte le seguenti condizioni:
1) non conduca ad una decisione vincolante per le parti;
2) non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale;
3) sospenda la prescrizione o la decadenza dei diritti in questione;
4) non generi costi, ovvero generi costi non ingenti (“very low costs” e “frais peau importants” secondo le espressioni inglese e francese utilizzate dalla Corte di Giustizia), per le parti, a patto però che la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre di provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone.
Ciò detto, ad avviso di questo giudice, la disciplina nazionale della mediazione obbligatoria, come integata dal regolamento , non rispetta la penultima delle predette condizioni poiché, prevedendo anche l’assistenza difensiva obbligatoria (art. 8, comma 5, d. lgs. 28/2010) comporta dei costi non contenuti per le parti, tenuto conto dei criteri di determinazione del compenso di avvocato attualmente
vigenti.
E’ vero che, stranamente, alla predetta previsione non è stata accompagnata quella sulle conseguenze della eventuale mancata assistenza difensiva ma, anche senza considerare l’unico precedente noto (Trib. Torino 30 marzo 2016), che ha ritenuto che, a fronte di una simile situazione, la condizione di procedibilità non è realizzata, di fatto gli organismi di mediazione richiedono che le parti si presentino agli incontri assistite dai loro avvocati e non danno corso alla procedura se ciò non accade.
Sul punto è allora opportuno innanzitutto evidenziare come la sentenza della Corte di Giustizia Ue n.457/2017, nel ribadire la necessità che la Adr obbligatoria determini costi non ingenti per le parti, non abbia inteso considerare le diverse modalità di svolgimento della procedura che possano essere state previste dalle leggi nazionali, lasciando così intendere che siffatto presupposto è imprescindibile.
Tale osservazione di carattere generale non pare essere smentita dal disposto dell’art. 141 quater, comma 4, lett. b), del d. lgs. 130/2015, che, in attuazione della corrispondente norma della direttiva 2013/11, esclude espressamente che nelle Adr di consumo i consumatori siano obbligati ad avvalersi di un avvocato.
Da esso infatti può desumersi che le norme nazionali che prevedono l’assistenza difensiva obbligatoria, in linea generale, sono compatibili con le procedure di Adr obbligatorie, ma sempre a condizione che non generino costi elevati.
Non è dubitabile poi che l’esborso al quale le parti sono tenute nei confronti dei rispettivi legali sia consistente se si considerano, in difetto della evidenza di un accordo sul punto, gli importi dei valori medi di liquidazione fissati dal D.M. 147/2022.
E’ appena il caso di precisare poi che il costo per l’assistenza difensiva per le parti rimane significativo anche se il procedimento di mediazione dovesse concludersi al primo incontro tenuto conto che il suddetto regolamento non prevede nemmeno un compenso ridotto per l’avvocato che assista la parte in
quella fase iniziale della procedura, di durata e impegno assai contenuti, cosicchè per la relativa quantificazione occorre far riferimento sempre ai sopra citati valori medi di liquidazione, da ridursi adeguatamente ma sempre con risultati di una certa consistenza.
Ad un contenimento dei costi di assistenza difensiva non può poi giovare il carattere ampiamente discrezionale dei parametri poiché esso, inevitabilmente, determina soluzioni diversificate mentre per raggiungere quell’obiettivo sarebbe necessaria la fissazione per via normativa di importi fissi inderogabili, ovvero una sorta di calmiere, analogamente a quanto è stato previsto per le spese di mediazione.
Si noti che proprio per tener conto dei suddetti aspetti il D.M. 180/2010 aveva stabilito marcate riduzioni del compenso per il mediatore per i casi in cui la mediazione costituissse condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 16, comma 4, lettera d), del D.M. n. 180/2010) ed una indennità fissa, di importo esiguo, per l’ipotesi in cui il procedimento si arresti al primo incontro.
Il d.m. 150/2023 ha però introdotto, agli artt. da 28 a 32, significative novità anche in tema di critedi di determinazione delle spese e dei compensi per le attività di mediazione.
Infatti ha previsto che si debbano versare per la sola partecipazione al primo incontro, oltre, alle spese vive le spese di avvio, variabili, in base al valore della lite, da euro 40 ad euro 110,00, e le spese di mediazione, comprendenti il compenso del mediatore, variabili, in base al valore della lite, da euro 60,00 ad euro 170,00.
Tali importi vanno ridotti di un quinto quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda o quando è demandata dal giudice.
Orbene, anche tenendo conto di tale riduzione, il costo della mediazione che si arrestasse al primo incontro varia da un minimo di euro 364,00 (euro 80 per le spese della mediazione, senza spese vive, oltre ad euro 284,00 per il compenso per il difensore per la fase di attivazione) per le controversie di valore più basso ad un massimo di euro 1.596,00 (euro 226,00 per le spese della mediazione, senza spese vive, oltre ad euro 1.370,00 per il compenso del difensore per la fase di attivazione) per le controversie di valore più elevato.
Nel caso di specie, in considerazione del valore della controversia, sarebbe di euro 1.234,00.
Nessuno dei predetti importi si può però considerare poco significativo nel senso indicato dalla Corte di Giustizia.
Val la pena poi evidenziare che non può influire su tale valutazione la possibile obiezione che, per stimare la convenienza economica della mediazione, occorre tener conto del fatto che le spese sostenute per essa sono utilizzabli come credito di imposta anche in caso di insuccesso della procedura.
Infatti in tale ipotesi il credito massimo riconoscibile è di euro 250,00 ma la sua concreta determinazione dipende dal valore della controversia, dalla disponibilità di fondi da parte dello Stato e dal numero delle richieste.
Si tratta quindi di una posta incerta sia nell’an che nel quantum mentre il costo che la parte deve sostenere è effettivo e immediato.
Né potrebbe validamente obiettarsi, al fine di escludere la rilevanza del profilo in esame, che i costi sostenuti per la mediazione possono essere recuperati dalla parte che, dopo avervi preso parte, risulti vittoriosa nel successivo giudizio o, in alternativa, in virtù di una transazione raggiunta con la controparte poiché tali esiti sono incerti nell’an e nel quando mentre ciò che la Corte di Giustizia, con le indicazioni sopra riportate, ha inteso evitare è che ciascuna delle parti che partecipano alla procedura di Adr debba sostenere un onere economico immediato, o meglio, sia gravata dalla relativa obbligazione.
Alla luce delle superiori considerazioni la norma che viene qui in rilievo (art. 5, comma 1, d. lgs. 28/2010), essendo fonte, sia pure indiretta, di costi non contenuti per le parti, va disapplicata in quanto in contrasto con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Tutti i profili fin qui evidenziati non sono stati esaminati dalle decisioni della Corte Costituzionale che hanno dichiarato non fondate alcune questioni di legittimità costituzionale della disciplina in tema di negoziazione assistita e in ogni caso la norma del trattato Ue sopra citata è sovraordinata rispetto a quelle costituzionali che possono venire in rilievo nel caso di specie.
Venendo ora ad esaminare le istanze del resistente non si ravvisano, alla luce delle allegazioni delle parti, i presupposti per fissare udienza ex art. 183 c.p.c. mentre va autorizzata la chiamata del terzo.
P.Q.M
Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, autorizza il resistente alla chiamata del terzo Itas Mutua nel rispetto dei termini di legge e rinvia la causa all’udienza del 14 marzo 2024 h.9.30
Verona 24/11/2023
Il Giudice Unico

About The Author

INFO E PREVENTIVI